lunedì 12 settembre 2022

Pinocchio

di Robert Zemeckis.

con: Benjamin Evan Ainsworth, Tom Hanks, Joseph Gordon-Levitt, Kyanne Lamaya, Giuseppe Battiston, Lorainne Bracco, Cynthia Erivo, Luke Evans, Keegan Michael-Key, Lewin Lloyd.

Fantastico

Usa 2022














Povero Robert Zemeckis. Un regista premio Oscar, autore di un pugno di classici moderni del calibro di "Ritorno al Futuro", "Forrest Gump", "Cast Away" e soprattutto l'indimenticabile "Chi ha incastrato Roger Rabbit?" oramai è ridotto ad un mestierante che le major chiamano per dirigere progetti senz'anima. E' successo nel 2020 con "Le Streghe", nuovo adattamento del classico per bambini di Roald Dahl che non ha un'unghia dello charme del primo adattamento diretto da Nicolas Roeg nel 1990, succede oggi con questo scialbo remake "live-action" del "Pinocchio" Disney del 1940, uno dei "classici" più amati della Casa del Topo.
Le virgolette nell'espressione "live-action" sono obbligatorie, visto che questo remake è per un buon 90% un film d'animazione vero e proprio, dove la maggior parte dei personaggi e degli ambienti sono realizzati in CGI e, soprattutto, dove non si ricerca mai una forma di fotorealismo nei modelli 3d. Che senso abbia, quindi, come rifacimento "dal vivo" è una domanda d'obbligo.
Malauguratamente, i problemi di questa nuova rivisitazione del capolavoro di Collodi da parte della megacorporation del male più amata al mondo non si fermano ad un abuso di effetti speciali inutili; il vero difetto è uno script che affossa totalmente il significato della storia e la trasforma in una serie di sketch tenuti insieme da un protagonista blando.




Già il primo adattamento disneyano di "Le Avventure di Pinocchio. Storia di un Burattino" aveva il difetto di edulcorare i toni del libro, semplificare personaggi, situazioni e, su tutto, la morale originaria al fine di creare un protagonista più amabile. Zemeckis, coadiuvato da Chris Weitz alla scrittura, va persino oltre e crea un Pinocchio che conosce la differenza tra bene e male sin dall'inizio, nonostante tutto il significato della storia ed il suo arco caratteriale riguardino proprio l'importanza di comprenderne le differenze. Pinocchio non sceglie volontariamente di marinare la scuola ed unirsi al Gatto e alla Volpe, ma viene cacciato dal maestro perché diverso dagli altri bambini, con il solito obbligatorio rimando al razzismo sistematico che oramai ad Hollywood non deve mai mancare e che distrugge tutta la storia per il solo fine di dare una moraluccia decisamente più scontata rispetto a quella del libro e inutilmente assolutoria verso il personaggio. Pinocchio non viene venduto dalla Volpe a Mangiafuoco, ma vuole diventare una star del suo spettacolo visto che non può studiare. E vuole farlo, in definitiva, non per egocentrismo, ma per aiutare il povero Geppetto. E non si unisce volontariamente ai bambini che vanno al Paese dei Balocchi, ma viene letteralmente rapito dall'Omino di Burro. Una volta lì, arriva persino ad intuire come questa distopia dove i bambini fanno i cattivi ha qualcosa di sbagliato. In sostanza, quello di Zemeckis e Weitz non è Pinocchio, è solo un bambino buono e ben educato fatto di legno anzicchè carne.




Non si capisce, di conseguenza, che ruolo possa avere il Grillo Parlante, qui ridotto a deus ex machina usa-e-getta. In compenso, lo script crea dei personaggi ad hoc con il solo intento di aumentare il numero di donne su schermo, ossia la gabbiana Sofia, anch'essa nulla più di uno strumento di trama, oltre che la burattinaia Fabiana, il cui ruolo è praticamente quello di possibile interesse amoroso... per un burattino che va alle elementari.
Anche il ruolo degli altri personaggi originari viene ridimensionato, a parte quello di Geppetto. La fatina appare solo in una scena, così come il Gatto e la Volpe, Lucignolo e Mangiafuoco, ma si tratta comunque di questionabili scelte di scrittura ereditate dal film del 1940. Quel che da fastidio, semmai, è il fatto che questi ruoli vengano compressi ulteriormente anche rispetto a quel primo adattamento e la storia diventa così frammentata, talvolta del tutto priva di consequenzialità (e vien da ridere se si pensa che il romanzo di Collodi fosse originariamente pubblicato a puntate, ma riusciva lo stesso ad avere un racconto solido).




Sulle questionabili scelte di casting si è poi detto persino troppo già alla pubblicazione del primo trailer. Volendo anche soprassedere al fatto che nell'Italia del XIX secolo praticamente non esistevano cittadini di colore, figuriamoci se poi c'erano rappresentanti dell'istituzione scolastica afroamericani, la polemica ha riguardato la scelta di Cynthia Erivo come Fata Turchina. E anche volendo far finta che le fate non siano personaggi del folklore europeo medioevale, quindi concepite in un tempo e in un luogo dove la popolazione di colore era praticamente inesistente, resta il dubbio sull'aver voluto prendere non tanto un'attrice di colore per sé, quanto un'attrice dalla bellezza talmente androgina da rasentare l'apertamente mascolino, per di più davvero difficile da definire bella, per dare volto e corpo ad un essere il cui tratto caratteriale è sempre stato quello di incarnare la bellezza estetica femminile.
Fortunatamente, il resto del cast è in parte e affiatato, salvando in parte la visione.




L'estetica del film è folle: non c'è nessuna volontà di verosomiglianza, personaggi e fondali animati sono palesemente falsi, rendendo talvolta l'interazione con gli attori imbarazzante. Tanto che più che un film ambientato in un mondo favolistico dove esistono burattini parlanti e animali antropomorfi, sembra di assistere ad una sorta di revival di "Chi ha incastrato Roger Rabbit?" (o del recente "Chip & Chop- Agenti Speciali") dove i cartoni animati e gli umani coesistono. Il che forse spiega anche la decisione di distribuire il film direttamente in streaming: in sala, la falsità del tutto sarebbe stata percepita ancora maggiormente e avrebbe generato maggior fastidio.
L'ultimo chiodo sulla bara è però dato da un difetto del tutto inescusabile: l'insipienza. La pessima opera di adattamento del testo originale rende la storia priva di alcun interesse, la caratterizzazione piatta di personaggi e situazioni toglie ogni forma di coinvolgimento. Se l'originale "Pinocchio" animato aveva un difetto comune a molti film d'animazione made in Disney, ossia il fatto che a proiezione finita lasciasse poco o nulla addosso allo spettatore, adulto o bambino che fosse, questo remake lascia freddi già durante la visione e quel poco che riesce a trasmettere è dato solo dal fastidio e dall'imbarazzo.




Alla fin fine, questo secondo "Pinocchio" della Disney altro non è se non un perfetto esponente del trend di rifare i "classici" in chiave live-action, ossia uno spudorato esercizio commerciale aggravato dal suo essere brutto e insipido. Inutile lamentarsi: alla Disney conviene rivendere l'usato garantito piuttosto che sperimentare idee originali e oramai la media dei prodotti che sforna, sotto qualsiasi marchio, è sempre bassa; siamo noi spettatori a non volerci rassegnare al fatto che anche ad Hollywood la qualità non paga. Spiace solo vedere certi nomi coinvolti in squallide operazioni del genere e non per motivi nostalgici, quanto per il rispetto che questi meriterebbero da parte di coloro che hanno reso ricchi.

2 commenti:

  1. Il nuovo Pinocchio mi sa tanto di operazione per salvare i diritti dello show e poco più. Già l'originale non brillava come adattamento (ma sopperiva con un lavoro tecnico nelle animazioni tra i più sopraffini) questo considerando che castra completamente la morale del romanzo non ha completamente senso.

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    1. Tecnicamente i diritti dovrebbero essere pubblici, quindi l'unico motivo di esistere è quello di raggranellare soldi facili ;)

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