di Hideo Nakata.
con: Nanako Matsushima, Hiroyuki Sanada, Miki Nakatani, Rikiya Otaka, Daisuke Ban, Rie Ino'o, Yuko Takeuchi, Hitomi Sato, Yoichi Numata, Yutaka Matsushige, Katsumi Muramatsu.
Horror
Giappone 1998
Il mondo dell' horror in Giappone forse non sarebbe lo stesso senza Koji Suzuki. Scrittore giunto alla fama mondiale solo a partire dalla fine degli anni '90, ha invece contribuito alla ridefinizione del "genere" in patria sin dall'inizio del decennio, quando pubblica il primo romanzo della pluriacclamata serie di "Ringu".
Suzuki è il tipico figlio dei suoi tempi, cresciuto in un Giappone che scopriva e riscopriva la passione per il sovrannaturale, causata dalla pubblicazione, a fine anni '70, delle Profezie di Nostradamus nel Paese del Sol Levante, evento che ha portato ad un interessamento generale del pubblico verso tematiche borderline fantastiche e alla rinascita del genere horror in tutti i media.
"Ringu" arriva nelle librerie giapponesi nel 1991 e riscuote un ottimo successo. Il segreto, oltre alla scrittura in sé stessa, è dato forse dalla commistione di tradizione e modernità, di antico e odierno. Stando alle parole di Suzuki, una delle fonti di ispirazioni per la storia di Sadako e della sua maledizione altro non è stato se non il "Poltergeist" del duo Spielberg-Hooper, il che è anche abbastanza ovvio: quell'immagine dello spettro vendicativo che emerge dal televisore è figlio diretto della famosa scena dell'avvento delle "demoniache presenze", ovviamente rielaborata in modo da diventare nuovamente originale.
Laddove il veicolo della maledizione è moderno, del tutto tradizionale è la figura dello spettro vendicativo, un onryo, figura tipica del folklore nipponico, ossia il fantasma di una persona morta violentemente che, a causa del forte sentimento d'odio, torna in vita per commettere una truce vendetta, la quale però non si consuma direttamente contro i responsabili, ma contro chiunque capiti a tiro, facendone quasi l'equvalente di uno spirito maligno occidentale.
Ma contrariamente a quanto avverrà nell'adattamento filmico, Suzuki si concentra anche sui risvolti fantascientifici della vicenda, con la storia di Sadako e sua madre Shizuka che le vede come potenti esper i cui potere ne hanno causato l'ostilità da parte dell'opinione pubblica, aspetto di storia che solitamente non viene ricollegato alla serie ma che ne costituisce il cuore tematico forse anche più della compoenente orrorifica vera e propria.
"Ringu" trova un primo adattamento filmico nel 1995, con un film-tv diretto da Chisui Takigawa, ma è con l'adattamento cinematografico del 1998 diretto da Hideo Nakata che giunge ad un definitivo successo.
Un film "seminale" per quel filone che prenderà il nome di J-Horror, il quale genererà un intero sciame di pellicole caratterizzate dall'atmosfera lugubre e dalla tematica della vendetta violenta perpetrata da spettri di persone uccise che spesso prende si attua mediante la tecnologia (basti vedere anche "Kairo" di Kiyoshi Kurosawa). Ma, prima ancora, il "Ringu" di Nakata è stato un enorme successo commerciale, all'epoca uno dei più grossi incassi nella storia del cinema giapponese, il cui eco si è poi espanso in Occidente con il fin troppo celebrato remake diretto da Gore Verbinski, il quale ha a sua volta sdoganato le pellicole originali anche in America ed Europa, oltre ad aver dato vita alla mania dei remake occidentali. E, paradossalmente, è proprio paragonando l'originale al remake che i pregi del primo risaltano maggiormente.
La tematica centrali in "Ringu" è l'isolamento. Sadako (interpretata da Rie Ino'o), figlia di una donna sola, concupita dal dottor Ikuma (Daisuke Ban), il quale tenta di sfruttarne i poteri per affermarsi economicamente e lavorativamente, è la "figlia del peccato", nata da una relazione extraconiugale e per questo uccisa dal padre, gettata ancora viva in un pozzo, ossia tagliata fuori dall'esistenza, seppellita viva in una tomba per celarne l'esistenza al mondo. Da cui il rancore, l'odio incondizionato verso quella umanità cinica e malvagia che ha distrutto lei così come ha prima tentato di distruggere la madre.
Allo stesso modo, isolato dal mondo è il piccolo Yoichi (Rikiya Otaka), figlio della protagonista Reiko (Nanako Matsushima) e di Ryuji (un giovane Hiroyuki Sanada), nato da un matrimonio finito in pezzi, lasciato spesso da solo a causa degli impegni della madre e totalmente ignorato dal padre (come nella dolorosa scena dell'incontro sotto la pioggia, dove i due praticamente non si riconoscono), si ritrova ad essere affascinato dalla leggenda della VHS assassina e trascinato negli eventi da un'entità sovrannaturale (forse il fantasma della cugina Tomoko, la prima vittima del film, forse la stessa Sadako) come una sorta di doppio ancora vivente del mostro.
Ed è lo stesso oggetto che divulga la maledizione ad essere in realtà un feticcio di un'era di isolamento. La VHS è l'apripista del fenomeno dell'home video, della capacità per gli spettatori di fruire di opere audiovisive (in particolar modo cinematografiche) senza dover più uscire di casa, senza unirsi a degli sconosciuti in un rito collettivo, anzi restando comodamente "tappati" tra le pareti dell'abitazione, tagliati fuori dal mondo. Non per nulla, è grazie all'avvento delle videocassette che in Giappone si registrano picchi dei casi di isolamento volontario, un incremento del fenomeno del hikikomori il quale a sua volta si ricollega al fenomeno delle "video girl", le "fidanzate virtuali" create registrando piccoli video (non sempre a sfondo erotico) di ragazze impegnate in attività quotidiane, al fine di regalare ad un utente chiuso in sé stesso l'illusione di un'interazione umana (argomento magnificamente declinato nel manga "Video Girl Ai" di Masazaku Katsura), delle quali Sadako è un'ideale versione demoniaca.
Il televisione, di conseguenza, diventa il viatico non per una vana realizzazione dei desideri personali, ma verso la distruzione, la cancellazione definitiva della vita, un inferno pronto ad eruttare in faccia allo spettatore, proprio come in "Poltergeist". E la maledizione, paradossalmente, non viene spezzata una volta risolto il mistero di Sadako, bensì unicamente tramite la diffusione della stessa, tramite la copia di quel male che deve propagarsi nel mondo affinché tutti si salvino, proprio come una trasmissione televisiva che deve infettare tutto il pubblico come un virus affinché proprio il pubblico possa sviluppare una sorta di anticorpo verso il medesimo.
La regia di Nakata è volutamente fredda e diretta. Non c'è stilizzazione nella messa in scena, né un'estemizzazione della violenza, la quale resta invece sempre fuori campo. Ciò che gli interessa è la suspense e la ricrea tramite un'atmosfera plumbea, dove lo scorrere del tempo diventa fardello insostenibile. Il che crea a sua volta una costante sensazione di paura e di disagio, dove la paura viene sempre trattenuta e dilatata, sempre pronta a scoppiare, ma dove la catarsi dello spavento è sempre negata.
Con una cadenza ipnotica e spiazzante, "Ringu" riesce davvero ad inquietare in modo sottile ed efficace. E per questo, oltre ad essere estremamente riuscito, resterà sempre migliore del più convenzionale remake americano, tutto basato sui jump-scare e su di una fotografia totalmente in color-grading digitale che finisce per rendere le immagini patinate e insulsamente finte.
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