con: Sheri Moon Zombie, Jeff Daniel Phillips, Daniel Roebuck, Richard Brake, Jorge Garcia, Cassandra Peterson, Sylvester McCoy, Tomas Boykin, Catherine Schell, Dee Wallace.
Commedia/Fantastico
Usa 2022
Il povero Rob Zombie non ha davvero pace. Ritenuto in patria come un regista a dir poco pessimo (su YouTube si sprecano i video d'odio verso "Halloween II" in particolare), costretto a lavorare con budget ridicoli raccolti solo grazie al crowfounding e reduce dal suo film peggiore, sta davvero attraversando una fase della sua carriera che definire straziante è riduttivo.
Poi arriva la Universal e gli affida il progetto di un adattamento cinematografico della mitica sit-com "The Munsters", della quale pare lui sia anche un fan sfegatato. Una manna dal cielo vera e propria, troppo bella per essere vera. E infatti non lo è: la produzione avviene per il tramite della succursale "Universal 1440 Entartainement", specializzata in produzioni low-budget e straight-to-video o streaming; e infatti il film salta la sala e arriva direttamente su Netflix e in home video, come un B-Movie d'accatto qualsiasi. E questo dopo una produzione prolungatasi per parecchi mesi, anche a causa delle riprese svoltesi in Ungheria per salvare soldi, a causa di un budget al solito miserevole.
Come se questo non fosse abbastanza, le reazioni del pubblico al primo trailer sono state a dir poco disastrose, accusando il film di essere una "poverata"... quando di fatto lo è, tanto che persino Zombie è dovuto intervenire spiegando come la voce secondo la quale il budget fosse di oltre quaranta milioni di dollari è in realtà una bufala, ecco il perché del look povero del film. Anche se la ragione è anche un'altra: il film era stato pensato per essere girato in bianco e nero e solo in un secondo momento si è deciso di aumentare artificialmente l'intensità dei colori per citare l'estetica degli horror in technicolor della Hammer, piuttosto che la monocromia dei classici della Universal. Il che non ha pagato visto la natura digitale delle immagini.
Ad oggi, telecomando alla mano, occorre dunque essere sinceri e chiedersi: questo omaggio ai mostri più simpatici della tv è davvero malriuscito?
"The Munsters" arriva sulle tv americane nel 1964 (in Italia a partire dalla fine del decennio) e conquista subito le platee. Un progetto che nasce da due fonti di ispirazioni ovvie: da un lato, il successo dell'adattamento televisivo de "La Famiglia Addams", dall'atro di quello delle trasmissioni dei classici horror della Universal degli anni '30 e '40. La famiglia Munster (in Italia simpaticamente riabattezzata "De Mostri") altro non è se non un nucleo famigliare composto dalle classiche maschere del horror gotico: Herman è il mostro di Frankenstein, il nonno altri non è se non il conte Dracula in persona, la mamma Lilly una vampira e il figlioletto Eddie un licantropo dal make-up classico. Oltre ovviamente all'inserimento, forse geniale, del personaggio di Marilyn, la nipote che incarna la tipica bellezza della fidanzatina d'America, bionda e dolce, ma che viene considerata dai consanguinei come una povera creatura deforme.
La riuscita è dovuta tanto ad una scrittura brillante, quanto ad un cast affiatato: Fred Gwynne nei panni di Herman Munster è semplicemente irresistibile con il suo sorriso candido da eterno bambino, Yvonne De Carlo dimostra un'ottima tempistica comica che si sposa magnificamente con la sua bellezza, mentre Al Lewis, già in coppia con Gwynne in "Car 54, where are you?", è una macchietta di inarrestabile comicità. Tanto che alla fine, da prodotto derivativo nato sulla scia di successi altrui, "The Munsters" diventa un legittimo cult dotato di una propria identità precisa e le maschere che ripropone diventano a loro volta dei personaggi autonomi, con i loro tic ed una caratterizzazione originale, finendo per incantare praticamente ogni tipo di spettatore.
Tanto che, nonostante la cancellazione dopo 70 episodi e appena due stagioni, i Munster non sono mai scomparsi davvero scomparsi dagli schermi americani: del 1966 arriva un primo film televisivo, "Munsters Go Home!", nel 1970 è il turno dello special a cartoni "The Mini-Munsters", nel 1988 arriva un sequel, "The Munsters Today", che trasporta i personaggi originali negli anni '80 e va avanti per ben tre stagioni, mentre negli anni '90 arrivano due special televisivi "Here Comes the Munsters" e "The Munsters' Scary Little Christmas".
Questo fino ad arrivare al 2013, quando un primo tentativo di reboot viene provato da Bryan Fuller con "Mockinbird Lane"... fallendo miseramente. Se in origine i Munster erano i volti del cinema horror classico, qui diventano dei fotomodelli dai volti perfetti e dai fisici mozzafiato; Herman in particolare è un Jerry O'Connell che sfoggia unicamente uno sfregio sul collo, alla faccia dell'iconografia del personaggio, mentre Marilyn da dolce ragazza normale diventa una sorta di Mercoledì Addams bionda. E come se questo non bastasse, il tono è schizofrenico, alternando sequenze comiche (comunque poco riuscite) ad una sottotrama serissima sul piccolo Eddie alle prese con l'accettazione della sua natura mostruosa. Non stupisce che a questo pilot non sia seguita una serie e ad oggi l'unico vero motivo di interesse verso questa stramba operazione risiede nell'ottima performance di Eddie Izzard nei panni del nonno, ma si sa che Izzard è uno di quegli attori in grado di salvare qualsiasi cosa.
Tanto che, forse, alla fin fine parte dello scetticismo verso il film di Zombie deriva anche da questo fallimento, che ha in parte leso l'eredità della sit-com. Oltre ovviamente al grosso scetticismo che si porta dietro da solo. Quindi urge ancora chiedersi: questo reboot è davvero così orrendo come si vuole fare credere?
Fortunatamente no, ma il fatto che sia così odiato è comprensibile.
Bloccato dal divieto di girare il film in bianco e nero, Zombie decide di calcare la mano ed elevare l'atmosfera leggera della serie al livello successivo, ossia dritto nel camp più puro. Tutto è esagerato, urlato a mille, dalla recitazione alla fotografia tutto è ammantato in uno stile eccesivo e kitsch. La fotografia riprende l'estetica del gotico baviano e della Hammer e la porta alle estreme conseguenze: la Tansylvania dei Munsters è un caleidoscopio di colori tra trip di LSD nel quale si muovono personaggi caricaturali, il cui look è al contempo elaborato e cheap. E Zombie riscopre anche l'uso del front projection in intravision che abusava nei suoi vecchi videoclip per creare sfondi palesemente finti, che fanno somigliare il tutto ad un sogno demenziale.
Il cast segue a ruota l'indirzzo camp e regala performance caricaturali sino al cartoonesco; Sheri Moon, in particolare, è una Lily Munster che sembra uscita da uno spot pubblicitario d'epoca, fatta di mossette e vocetta; il che non è un difetto, anzi rende questo strambo ensamble di maschere ancora più adorabili; mentre Jeff Daniel Phillips e Daniel Roebuck non fanno rimpiangere Fred Gwynne e Al Lewis, soprattutto a causa della differenza tra questi personaggi e quelli della serie.
Padroneggiare a dovere il camp non è facile (Joel Schumacher ne sapeva qualcosa) e spesso può portare al ridicolo involontario piuttosto che all'umoristico legittimo. Zombie riesce a restare sempre in bilico tra i due, ma la scelta di caricare a mille l'umorismo e di creare una visione esagerata può tranquillamente risultare indigesto. Anche se di fatto i veri difetti di questo revival sono altri, ossia lo script e il ritmo.
Zombie decide di creare un ideale prequel alla serie, raccontando come Herman e Lily si sono conosciuti, sposati e trasferiti al 1313 di Mockinbird Lane a Los Angeles; assistiamo così alla creazione di Herman, al suo incontro con la futura consorte e ad un'inedita rivalità con il futuro suocero. E la storia finisce praticamente qui: non ci sono veri ostacoli, non ci sono veri antagonisti, né veri conflitti. La sottotrama sui guai combinati da Lester (Tomas Boykin), licantropo figlio reietto del Conte e casinista irredento, non porta davvero a nulla e serve solo come scusa per far trasferire il trio di personaggi in America; così come la rivalità tra Herman e il nonno si dissolve di punto in bianco. Poco o nulla viene raccontato, tanto che alla fine sembra di assistere a dei canovacci pensati per singoli episodi da venti minuti l'uno cuciti insieme per formare un lungometraggio.
Il che non sarebbe neanche male se il ritmo fosse adeguato. Purtroppo la regia inciampa nella costruzione della narrazione sia generale che delle singole scene, le quali sembrano dilatate sino all'inverosimile, mancando del brio necessario per colpire e tenera alta l'attenzione.
Tutto sommato questo revival non è il disastro che in molti credono. Lo stile può non piacere, ma è adatto alla materia; e nonostante i difetti obiettivi, l'amore dell'autore verso la serie originale trasuda da ogni fotogramma, rendendo "The Munsters" un film poco riuscito, ma estremamente genuino.
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