venerdì 3 marzo 2023

Frankenstein Junior

Young Frankenstein

di Mel Brooks.

con: Gene Wilder, Marty Feldman, Teri Garr, Peter Boyle, Cloris Leachman, Madeline Kahn, Kenneth Mars, Richard Haydn, Danny Goldman, Liam Dunn, Gene Hackman.

Commedia/Parodia

Usa 1974













Ci sono film che travalicano lo status di cult per arrivare ad un livello successivo, divenendo quasi delle ossessioni per gli spettatori e amatori; pellicole che si marchiano in modo talmente indelebile nella mente di chi le ama al punto che intere battute vengono recitate a memoria durante la visione, ricalcando alla perfezione persino l'intonazione degli attori (o doppiatori), finendo per arrivare alle soglie del fenomeno di costume vero e proprio. L'esponente più blasonato di tale categoria è sicuramente l'intramontabile "The Rocky Horror Picture Show", la cui visione di gruppo, magari in drag, è ancora oggi un'esperienza fenomenale; ma c'è un altro film che può vantare uno status del genere e che potrebbe insidiarne il podio, ossia il capolavoro di Mel Brooks "Frankenstein Junior".
Chi non ha mai citato nella vita reale alcune delle battute più celebri? Dinanzi ad una situazione disastrosa, chi non ha mai esclamato "Potrebbe andare peggio... potrebbe piovere!"? O non ha mai gridato con enfasi assatanata "Si può fare!"?
Il successo e l'amore ottenuto sono in questo caso totalmente meritati; la parodia dei classici della Universal targata Brooks riesce davvero ad inanellare una serie di gag trascinanti, usando un umorismo che spazia dal brillante al demenziale passando per lo slapstick puro, in un vero e proprio tour de force comico che induce al sorriso in maniera costante, senza però mai appiattirsi.



L'idea per il film appartiene non tanto a Brooks, quanto a Gene Wilder, anche co-autore della sceneggiatura; sua era infatti la passione per il cinema horror in bianco e nero, il quale lo avrebbe portato successivamente anche alla creazione dello sfortunato "Luna di miele stregata" nel 1986. Una passione pura e genuina che si riverbera nella riproposizione in chiave comica dei momenti salienti dei capolavori di James Whale "Frankenstein" e il suo incredibile sequel "La Moglie di Frankenstein".
Due pellicole "seminali" non solo all'interno della produzione horror della Universal e non unicamente a causa della celebrità assunta con gli anni, quanto e forse soprattutto grazie allo stile di regia di Whale, che tra primi piani e montaggio alternato crea due film praticamente avanguardistici per gli standard del cinema americano degli anni '30. Ovviamente a Wilder e Brooks interessano gli aspetti più squisitamente estetici e orrorifici, che qui vengono riportati in modo certosino.



Ogni singolo aspetto estetico-stilistico rimanda al passato, come se l'intero film fosse stato girato quarant'anni prima; un esperimento che oggi potremmo definire "vintagexploitation" e che arriva giusto un anno dopo al simile "Paper Moon" di Bogdanovich (anch'esso interpretato da Madeline Kahn) e si inserisce perfettamente all'interno del filone della New Hollywood che svecchiava il cinema delle origini senza però rigettarlo, anzi tenendolo sempre in alta considerazione. E proprio come i fautori del nuovo cinema americano, anche Brooks sa quando inserire inquadrature più moderne, con movimenti di macchina fluidi e dinamici al fine di rendere la scena più interessante.
La sua passione è smodata, al punto di ritrovare gli stessi oggetti di scena usati nei film originali per riproporli qui, usandoli in modo simpatico anche per dare vita a qualche gag e che finiscono per rendere la visione ancora più gustosa.



La versione comica di Brooks e Wilder tende a ridicolizzare fatti e personaggi. Non è ovviamente una parodia nel senso moderno del genere, non c'è la costante riproposizione meccanica delle medesime scene degli originali rilette in chiave comica (cosa che succederà in maniera totale e definitiva solo a partire dal 1980 con un altro superclassico della commedia americana, ossia "L'Aereo più pazzo del mondo" del trio ZAZ); a livello di storia, "Frankenstein Junior" è una sorta di seguito della serie filmica originale, con al centro il nipote dell'originale dr. Frankenstein (si pronuncia "Frankensteen"!) il quale riporta alla luce, grazie all'intrusione di Frau Blüchen (nitrito di cavalli) gli studi del nonno e crea una nuova creatura rediviva.
Sono le singole situazioni a contare, in sequenze che partendo da serie vengono virate verso il faceto, con dialoghi che portano il tutto verso il demenziale più puro; un plauso, come sempre, va fatto all'adattamento italiano, opera di Oreste Lionello, che a differenza di quanto farà con i successivi "Monty Python e il Sacro Graal" e "Ghostbusters II", questa volta decide di restare fedele allo spirito originale riuscendo miracolosamente a creare battute irresistibili e memorabili, come, su tutte, la mitica "Lupuulà, castelloululì!" a fronte dell'originale "Werewolf? There wolf, there castle!".



L'umorismo è vario e consta di tutti i "generi" propri della commedia, con tanto di perfetto numero musicale ripassato in chiave grottesca. Si passa senza soluzione di continuità dal brillante al demenziale puro e si arriva fino alle soglie della parodia uno a uno vera e propria, con la riproposizione della scena del cieco (interpretato da un perfetto Gene Hackman, che pare non volle farsi accreditare nei titoli di testa per non far credere al pubblico di stare per assistere ad un film serio!) che anticipa di qualche anno le intuizioni del trio ZAZ, passando per sketch di natura pruriginosa ma mai volgari, come quelli che riguardano il "gigantesco schwanzstücke".



Brooks riesce a maneggiare alla perfezione ogni registro e a portare magnificamente in scena ogni gag, anche perché assistito da un cast semplicemente mirabolante; lodare Gene Wilder è persino ridondante, così come lo è farlo per Peter Boyle e Madeline Kahn; Teri Garr, mai più così bella, funziona alla perfezione, come Cloris Leachman, che con le sue espressioni esagerate ricorda quasi Una O'Connor, e Kenneth Mars che, alle prese con numeri del tutto fisici, non sbaglia mai un colpo. Su tutti, però, è lo sfortunato Marty Feldman a regnare sovrano: il suo Igor (o "eye-gor"?) è una maschera comica irresistibile, che esclama alcune delle battute più celebri ed è protagonista di alcune delle gag più memorabili e persino più sottili, come quella della gobba semovente.



Il risultato è uno juggernaut comico implacabile che regala 106 minuti di risate genuine, un vero e proprio capolavoro di ideazione e messa in scena sorretto da una passione genuina. 
Un lavoro di genio che ancora oggi riesce a divertire e ad incantare, figlio di un duo di autori-interpreti davvero mai troppo lodati.

1 commento:

  1. Si, è un'operazione più sottile rispetto a quelle del trio ZAZ, ma lo stesso esilarante ;)

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