con: Silvio Orlando, Valerio Mastandrea, Claudia Pandolfi, Monica Bellucci, Vinicio Marchioni, Elena Lietti, Tommaso Ragno, Diego Ribon, Malich Cissè, Sara Serraiocco, Emma fasano, Max Tortora, Grabiel Montesi, Emanuela Fanelli, Emanuele Maria Di Stefano .
Italia 2022
Non capita praticamente mai che un film nato per essere profetico finisca per divenire un vero e proprio "istant movie" in grado di catturare un determinato stato delle cose, ma "Siccità" è riuscito (malauguratamente, vien da dire) a fare questo inusitato passo in avanti. Paolo Virzì aveva inteso questa sua visione di una capitale in preda alla crisi idrica come uno scenario possibile, il quale, tempo un pugno di mesi, ha finito non solo per verificarsi, ma anche per coinvolgere l'intera Penisola.
Peccato però che questo sia praticamente l'unico aspetto interessante di tutto il film.
Le immagini di una Roma riarsa dal sole e desertificata sono emblematiche e bellissime, racchiuse in belle inquadrature del sempre ottimo Luca Bigazzi.
A non funzionare per niente è invece lo script che nella più pura tradizione del cinema "impegnato" nostrano tenta di unire varie storyline di personaggi eterogenei per dare un quadro di un'umanità alla deriva, in preda non solo del terrore climatico quanto e soprattutto dei propri fatali difetti. Tutte storie che vanno dal trito allo sbagliato.
Loris (Valerio Mastandrea) è l'ex autista di un presidente del consiglio morto suicida dopo l'ennesimo scandalo, il quale si ritrova a fare da guidatore stile uber e che finisce per riappacificarsi con l'ex moglie Sara (Claudia Pandolfi) e la loro figlia adolescente Martina (Emma Fasano); story-arc visto e stravisto del quale si salvano giusto gli attori, con un Mastandrea che riesce davvero ad incarnare ottimamente il classico "esaurito cronico" italiota; e dove, vergognosamente, si tenta di rendere empatico l'ex braccio destro di un politico lestofante e falso, il quale dovrebbe risultare patetico perché vittima degli orrori della spending review.
Sara, a sua volta, è un medico la quale si ritrova a dover affrontare l'emergenza di un epidemia subsahariana che ha appestato la capitale; ma il suo ruolo è un puramente riempitivo che serve più che altro unire la storia la storia di Loris e figlia con quella del suo nuovo marito Luca (Vinicio Marchioni) che, come da copione, la tradisce con Mila (Elena Lietti), sua ex compagna di liceo; e spiace essere cattivi, ma viene davvero da chiedersi quale uomo dotato di un cervello funzionante cornificherebbe la Pandolfi per stare con la Lietti...
Mila è sposata con l'attoruncolo Alfredo (Tommaso Ragno), il quale cerca di ravvivare il proprio status tramite i social network e seguendo alla lettera lo stereotipo dell'intellettualoide è un pessimo padre per Sebastiano (Emanuele Maria Di Stefano), a sua volta il perfetto stereotipo del sedicenne finto-ribelle in una trama che davvero si commenta da sola e nella quale non ci viene risparmiata neanche la scena d'obbligo nella quale la madre/moglie quarantenne ha una crisi di nervi. A far specie, semmai, è il doppio ed incredibile errore di una scrittura che da una parte porta Sebastiano ad essere investito da Sara nelle primissime scene, fatto che poi viene stranamente dimenticato e mai più portato all'attenzione di nessuno, mentre dall'altra introduce una critica alla ribellione falso-impegnata dei sedicenni la quale anzicché risultare intelligente finisce per essere clamorosamente qualunquista, poiché orgogliosamente ferma alla superficie di fatti e personaggi.
Antonio (Silvio Orlando) è un detenuto che ama stare dietro le sbarre (!) e che a causa di un errore si ritrova di nuovo libero; decide così di attraversare la città per incontrare la figlia Giulia (Sara Serraiocco), che aveva abbandonato praticamente in fasce dopo aver ucciso la madre. Classica storia di redenzione che poi redenzione non è nella quale, ancora, è solo Silvio Orlando a funzionare.
Giulia è poi sposata con il bruto Valerio (Gabriel Montesi), da poco assunto con bodyguard della figlia di un ricco imprenditore, Raffaella (Emanuela Fanelli). Una storiella strampalata, che si conclude similmente all'alleniano "Crimini e Misfatti" ma senza ovviamente averne né la grazia tantomeno la carica drammatica, dove si cerca di fare le pulci all'alta borghesia mettendo in fila tutti i luoghi comuni possibili senza mai riuscire a comunicare davvero nulla e nella quale l'unico personaggio interessante è quello di Raffaella, donna impacciata ma sotto sotto aggressiva e intelligente, il cui story-arc era anche interessante, ma che viene subito troncato in favore di un risvolto che lascia davvero il tempo che trova.
Tra questi drammi fin troppo umani ci sono poi la storia dell'idrologo Del Vecchio (Diego Ribon) e del senzatetto Jacopucci (Max Tortora).
Il primo è un racconto di "de-formazione", con uno scienziato serio e preoccupato il quale viene trasformato dalla celebrità in un involucro vuoto che finisce a letto con Monica Bellucci, in un arco anche riuscito, ma del tutto sbagliato in un momento storico nel quale l'anti-intelletuallismo e l'anti-scienza hanno davvero fatto troppi danni al tessuto sociale.
Il secondo è l'ennesimo apologo su di un uomo alla deriva che non va davvero da nessuna parte.
Proprio l'estrema incompiutezza è poi il difetto fatale di tutta la scrittura, l'ultimo chiodo su di una bara nella quale tutti i personaggi finiscono per essere macchiette, ogni trama non ha nerbo e non cattura finendo per risultare insipida e dove persino la siccità del titolo finisce per essere giusto un contorno inutile. Il tutto coronato da un lieto fine indigesto, che stona anche con le pretese apocalittiche del film.
Una sceneggiatura troppo sfilacciata che tiene malamente insieme delle storielle a dir poco mediocri, quindi. Per di più fatalmente mal servita da un brutto montaggio, che non sa come incastrare bene le singole sequenze e talvolta persino le singole inquadrature, arrivando anche ad infliggere qualche orrendo jump-cut che fa davvero storcere il naso. E se la brutta scrittura è imputabile anche allo zampino di Francesca Archibugi, non si capisce perché lo Jacopo Quadri collaboratore abituale di Bernardo Bertolucci, di Gianfranco Rosi e di Mario Martone abbia deciso di montare il tutto con la mano sinistra; la colpa forse è di Virzì, il quale il più delle volte decide di costruire le scene in modo anonimo e svogliato.
Un film che non funziona, questo "Siccità", che si trascina stancamente per oltre due ore senza riuscire a dire mai qualcosa di concreto o condivisibile anche quando affronta una tematica tristemente urgente e ignorata come quella del cambiamento climatico. E spiace davvero che l'autore livornese, tra prove poco ispirate e l'agghiacciante collaborazione con Checco Zalone, sembra davvero aver perso lo smalto che lo contraddistingueva in passato, persino durante quegli anni '90 dei quali è stato uno dei pochi cineasti italiani davvero meritevoli di interesse e lode.
Nessun commento:
Posta un commento