giovedì 19 ottobre 2017

Il Tunnel dell'Orrore

The Funhouse

di Tobe Hooper.

con: Elizabeth Berridge, Kevin Conway, Shawn Carson, Jack McDermott, Wayne Doba, Sylvia Miles, William Finley, Cooper Huckbee, Largo Woodruff, Miles Chapin.

Horror

Usa 1981















---CONTIENE SPOILER---

I contrasti con i produttori hanno sempre e per sempre danneggiato la carriera di Tobe Hooper; anche all'indomani dell'ottimo successo di quel "Eaten Alive" sottrattogli verso la fine delle riprese, Hooper si vede costretto ad abbandonare nuovamente un set, quello di "The Dark", horror sovrannaturale che Dick Clark decide di trasformare in fantahorror a riprese già avviate, causando le furie dell'autore e trasformando il film in un pastrocchio senza né capo nè coda.
Bisogna quindi aspettare il 1981 per vedere un nuovo film di Hooper nelle sale, uno dove ha avuto pressoché il pieno controllo; e la data è fatidica: il filone slasher, che lui stesso aveva in parte anticipato con "The Texas Chainsaw Massacre", è al culmine della fama grazie ai successi di "Halloween" e "Venerdì 13", i cui primi seguiti escono quello stesso anno. Lo script di "The Funhouse" è, alla base, nulla più di classico horror sequenziale, con il canonico gruppo di teen-ager in un contesto ostile (in questo caso un sinistro luna park) ed alle prese con un mostro. Ma ad Hooper non interessa perorare quei luoghi comuni e quegli stereotipi da lui stesso in parte coniati e, con un controllo maggiore in sede di produzione riesce ad evitare molte delle trappole proprie del filone e ad iniettare nel film un'anima cinefila ed un forte tocco di empatia verso il mostro, creando uno degli horror più interessanti e riusciti del decennio.




Fin dall'incipit, Hooper è chiaro: quello a cui assisteremo non sarà un canonico slasher; alternando un piano sequenza in soggettiva ad una scena di nudo della bellissima protagonista Elizabeth Berridge (che comparirà in "Amadeus" per poi eclissarsi, nonostante le ottime doti recitative), costruisce una vera e propria parodia del filone; il killer con i guanti neri, reminiscenza di quel "giallo movies" a cui lo slasher tanto deve, la maschera che copre parte della visuale come nel capolavoro di Carpenter e poi l'omicidio nella doccia, la cui costruzione riprende inquadratura per inquadratura quello di "Psycho" del maestro Alfred Hitchcock, ossia colui che assieme a Mario Bava è il padre putativo dell'horror degli anni '70 e '80.
Solo che questa volta, il ragazzino armato di coltello non è un assassino, ma un burlone che si diverte a tirare un brutto scherzo alla sorella; e che come Jamie Lee Curtis si chiude in un armadio solo per essere braccato e ricevere un sonoro rimprovero.
Sempre nella prima scena, "The Funhouse" introduce quella che sarà la maschera ricorrente del film; con un tocco post-modernista in largo anticipo sui tempi, Hooper riprende un classico, il "Frankenstein" di James Whale e ne eleva la creatura a feticcio.




Anche qui il mostro è generato da un folle; e come Leatherface è figlio dell'America ignorante e violenta, per di più nato probabilmente dall'incesto: i suoi lineamenti animaleschi ricordano quelli degli inbread dell'America più rivoltante. Ma questa creatura, sprovvista persino di un nome, individuata nei titoli semplicemente come "the monster", non l'incarnazione di una violenza atavica, ma quella dell'intolleranza altrui. Prima fra tutte, quella del padre (il caratterista Kevin Conway, che interpreta anche tutti gli altri imbonitori del luna park), che lo picchia e lo insulta ogni volta che ne ha la possibilità, benché provi lo stesso affetto nei suoi confronti; poi quella della fattucchiera Madame Zena (Sylvia Miles), che lo circuisce con la promessa del sesso solo per derubarlo; la violenza che avvia la sequenza di morti è iraconda, quasi involontaria; e verso questo mostro sofferente non si può che provare pena, oltre che orrore; tanto che Hooper, nel finale, estremizza i toni e ne trasforma la dipartita in un vero e proprio circo dell'orrore, dove la violenza viene esasperata e la tempistica dilatata al fine di rendere la visione ancora più dolorosa, persino di quella delle vittime, dei giovani che, di fatto, trapassano tutti fuori schermo.




Ragazzi la cui caratterizzazione, pur basica, sfugge a quegli stereotipi che di lì a poco diverranno marchio di fabbrica dello slasher (la final girl vergine, il duro, il fattone, il nerd e la troietta): il loro ruolo negli eventi sovverte quello che dovrebbe il loro carattere, riuscendo a spiazzare. La final girl Amy è si illibata, ma alla fine non trova la forza per uccidere il mostro, la cui morte avviene per puro accidente; la più libertina Liz, bionda d'ordinanza, non è in fondo cattiva e si rivela davvero innamorata del suo accompagnatore; il duro Buzz viene introdotto come un personaggio intollerante ed ai limiti dell'antipatia, solo per rivelarsi perfetto maschio alfa, che però cede al confronto con quello che è il vero villain, il padre della creatura; ed il simpaticone Richie si rivela un cleptomane dall'avidità spietata, che muore facendo volare quel denaro tanto rapacemente ed ottusamente inseguito nel bel mezzo dell'incubo.




L'ambientazione permette ad Hooper di dar sfogo alla sua fantasia, di intessere un'atmosfera simile a quella di "Eaten Alive", ma virata verso il gotico onirico più che al lisergico; la fonte di ispirazione, ovviamente, è il gotico baviano, con luci verdi, rosse e rosa, colori accesi e pulsanti che donano un'aura ancora più sinistra alle scenografie.
Ambientazione che permette anche di esplorare un'altra paura inconscia, questa volta totalmente moderna, quella del bizzarro che si cela dietro ai luoghi di divertimento, a questi strambi circhi costellati da freak e loschi figuri; il luna park di "The Funhouse" è una sorta di versione deviata del circo di Chaplin, dove al posto del dramma si cela un orrore al solito terreno, eppure ineludibile. Un luogo pregno di un che sinistro anche quando l'orrore non ha ancora preso piede: c'è sempre qualcosa di sbagliato, di fuori luogo tra quei tendoni, qualcosa pronto a spaventare o a spiazzare, anche quando si rivela semplicemente essere un barbone o una vecchia megera.
E se l'atmosfera è, come da manuale, da metà film in poi cupa ed opprimente, l'uso dei jump-scare è semplicemente magistrale; piuttosto che usare finti sussulti, Hooper opta per vere minacce, salvo che in un paio di occasioni; le apparizioni a sorpresa del mostro sono sempre ben congegnate e colpiscono sempre nel segno.




Con la sua originalità e la perfetta esecuzione, "The Funhouse"  è uno dei film più riusciti di Hooper; una sorta di anti-slasher che meriterebbe più attenzione da parte dei patiti del cinema del terrore; lo status di piccolo cult, in fondo, gli calza fin troppo stretto.

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