mercoledì 25 ottobre 2017

La Casa Nera

The People under the stairs

di Wes Craven.

con: Brandon Adams, Everett McGill, Wendy Robie, A.J. Langer, Ving Rhames, Sean Whalen, Bill Cobbs.

Horror

Usa 1991
















---CONTIENE SPOILER---


Il 3 Marzo 1991, la polizia di Los Angeles diviene protagonista di un caso destinato a scioccare l'intera opinione pubblica americana; il tassista afroamericano Rodney King, segnalato per eccesso di velocità, per paura di vedere revocata la propria licenza, tenta di fuggire dal controllo, scatenando un lungo inseguimento che si conclude con la resa di questi; ma una volta uscito dal veicolo, disarmato e senza intenzioni ostili, King viene pestato a sangue dagli agenti. Poco più di un anno dopo, i protagonisti del pestaggio vengono processati e, nonostante le prove audiovisive ne dimostrano la colpevolezza oltre ogni ragionevole dubbio, si ritrovano tutti assolti. La reazione della comunità nera di L.A. è durissima: una rivolta durata oltre tre giorni, durante il quale la città viene messa a ferro e fuoco, che causa circa una sessantina di vittime.
Un anno prima, quasi a preconizzare tale evento, esce nei cinema "The People under the Stairs", una delle pellicole più curiose di Wes Craven, che si chiude proprio con la rivolta della comunità nera del ghetto di Los Angeles contro i dispotici proprietari terrieri bianchi.




Così come in "Nightmare", anche questa volta Craven struttura la storia come una sorta di favola nera; protagonista è ora un bambino, Poindexter (Brandon Adams), detto "Grullo", come la carta dei tarocchi che ne segna il destino nella prima sequenza; Grullo, piccolo ma pieno di risorse, sogna di diventare medico, ma ogni sua ambizione è castrata da una realtà fatta di fame e miseria: costretto a vivere in una crackhouse con una madre malata di cancro, impossibilitata a sostenere le spese mediche necessarie per l'operazione e con un esercito di figli e nipoti a carico; l'ultima stoccata arriva con la minaccia di sfratto: i padroni di casa, speculatori indefessi, vogliono abbattere l'immobile per far spazio ad una nuova e più redditizia costruzione.
Uno spiraglio di luce arriva sottoforma di un furto: Leroy (Ving Rhames) coinvolge Grullo in una rapina ai danni di quegli stessi padroni, che vivono arroccati in una gigantesca e tetra magione, isolati dal mondo, custodendo un vero e proprio tesoro. Ma una volta giunti all'interno della casa, i due si renderanno conto di essere prigionieri di una trappola mortale.




Prima ancora di essere una perfetta metafora sullo sfruttamento, "The People under the Stairs" è un perfetto meccanismo di intrattenimento, nel quale Craven fonde un registro orrorifico raccapricciante, oltre che allegorico, con una dose di umorismo nero talmente elevata da far somigliare il tutto, a tratti, ad una sorta di cartone animato ultraviolento. Un tentativo, quello di far convivere tante anime diverse in un unico racconto, già riuscitogli perfettamente in "Il Serpente e l'Arcobaleno", ma che giusto un paio di anni prima non era riuscito a replicare nel flop "Sotto Shock" e che qui trova un equilibrio più o meno stabile.
L'esecuzione di alcune sequenze è magistrale: l'uso della steadycam per seguire le fughe dei personaggi attraverso i cunicoli della magione imprime una dinamicità incredibile ad ogni scena; la tensione è alta, anche se più che sulla paura o la suspanse in sé, Craven gioca questa volta con un orrore più diretto, dato dal pericolo di una morte truce ed immediata, da un orco questa volta prettamente terreno ed infuriato, che si diverte a massacrare chiunque gli capiti a tiro.




I villain, i due mostri, sono nuovamente creature fin troppo umane, rese demoniache dal vizio, in questo caso una cupidigia deviata che li ha trasformati in sadici reclusi, probabilmente incestuosi (si scopre circa a metà film la loro parentela uterina) e sopratutto cannibali. I due coniugi, Papi e Mami, o "Man" e "Woman", hanno il volto di una celeberrima coppia, Everett McGill e Wendy Robie, ossia Big Ed e Nadine Hurley di "Twin Peaks", e qui sono entrambi corrosi dalla follia. Due ricchi che succhiano letteralmente soldi dal ghetto nero per accumularli in un deposito alla Zio Paperone, dove il denaro esiste per il denaro, una forma di onanismo pecuniario; due orchi che rapiscono i bambini in cerca dell'erede perfetto, ossia un figlio usato anch'esso come una res, un oggetto da custodire gelosamente e distruggere quando mostra segni di individualità, quando vede, dice o sente cose che non dovrebbe conoscere.




La metafora sociale è presto servita: i due bianchi sono gli schiavisti, che vivono in un contesto domestico fermo ai tempi della segregazione, come una singolarità che dai primi anni '90 retrocede di oltre cinquant'anni nel passato. Le persone del ghetto, così come i giovani rapiti e sottomessi, sono la massa che viene cannibalizzata per la sussistenza di una classe dirigente post-reaganiana ormai assuefatta ad ogni tipo di privilegio e che sfoga con la violenza tutti i suoi istinti.
Una massa che alla fine trova la forza di ribellarsi, grazie alla forza di un bambino, un pollicino che sfugge agli orchi proprio grazie alla sua sfrontatezza di "grullo", per divenire esempio che porta i sottomessi a massacrare i carcerieri: i ragazzi reclusi, ridotti a veri e propri morti viventi, si vendicano della propria "madre" e ritrovano la libertà; e che, in un secondo momento, distrugge il giogo dei padroni sulla comunità, ridando a questa quel capitale ingiustamente sottrattole.




L'umorismo, più che stemperare la tensione, serve a deformare ulteriormente personaggi e situazioni, virando tutto verso un grottesco malato; come l'uso del costume sadomaso di Papi, talmente sopra le righe da non essere inquietante, ma lo stesso disturbante; o le folli corse tra le intercapedini ed i condotti di aerazione ricoperte di trappole, passaggi segreti e trabocchetti, marchio di fabbrica dell'autore che qui diviene definitivamente parte integrante della storia e che spesso culminano in una violenza cartoonesca, per quanto viscerale.




Ed è forse l'abuso del registro comico a castrare in parte le intenzioni di Craven; si resta fin troppo spiazzati dalle gag, dalle espressioni stralunate di Everett McGill che riceve botte in testa o dalle battute stile macho di Grullo; per quanto simpatico, il tono strampalato porta ad un allontanamento della materia narrata a tratti troppo marcato.
Ma al di là di tale freddezza, Craven riesce lo stesso ad intessere una storia che intrattiene e che riesce davvero ad imporsi come ottima metafora sociale, prova di come il suo talento sia ancora forte, nonostante l'altalenante esito della sua carriera.

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