A Nightmare on Elm Street
di Wes Craven.
con: Robert Englund, Heather Langenkamp, Johnny Depp, John Saxon, Amanda Wyss, Ronee Blakley, Nick Corri.
Horror/Fantastico
Usa 1984
Il "caso" di Freddy Krueger è quanto meno singolare; nato dalla mente di Wes Craven come boogeyman definitivo, caratterizzato come un assassino pedofilo che si vendica di chi lo ha linciato massacrandone i figli nei propri sogni, ossia un personaggio totalmente negativo e lontano anni luce da qualsiasi forma possibile di empatia, è divenuto in pochissimo tempo un'icona pop, surclassando ed eclissando definitivamente il successo di altre maschere della new wave horror americana quali Leatherface, Michael Myers e persino quel Jason Voorhees con il quale è stato, anni dopo, protagonista di un divertente cross-over. La sua popolarizzazione è indicativa della decadenza dell'horror americano in sé, che nato per destabilizzare le opinioni popolari medianti ritratti iperbolici degli orrori quotidiani, tipicamente americani, è divenuto, negli anni '80, sinonimo di intrattenimento puro e crudo. Decadenza che tuttavia non ha intaccato il fascino delle sue icone e la caratura dei suoi autori più importanti.
Un mito del cinema horror, quello del Freddy Krueger di Craven, che perdura tutt'oggi e non solo nel cuore degli appassionati del cinema del terrore; i richiami al suo design, alla sua storia, ai suoi poteri in opere di tutt'altro genere continuano a non contarsi; e ciò senza ancora tenere conto del successo che la serie di film di cui è protagonista ha avuto: sette pellicole ufficiali, un remake inutile d'ordinanza targato Platinum Dunes (in cui l'unica cosa salvabile è la performance di Jackie Earl Haely) ed una serie televisiva trasmessa praticamente in tutto il globo; senza contare, ancora, tutte quelle incarnazioni che sono emanazione diretta dei film, quali spin-off a fumetti e videogames. E bisogna infine calcolare, per capire la caratura del marchio "Nightmare" come il primo film sia stato il primo successo commerciale per la New Line Cinema, che fino ad allora era una microscopica casa indipendente che si limitava a distribuire pellicole di quart'ordine; successo che le ha permesso di diventare, in neanche 10 anni, una delle principali major di Hollywood.
Un personaggio, quello creato da Craven, che è quasi la definizione stessa di cultura popolare, di un brand immediatamente riconoscibile e di successo; ciò proprio a causa della popolarizzazione, un po' forzata, che ha avuto nel corso del tempo: da assassino repellente è divenuto una sorta di jolly folle che prima di uccidere il teen-ager di turno si diverte a provocarlo con one-line degne di un film action, in sequenze orrorifiche dove lo shock e la suspense lasciano spesso il passo ad una forma di splatter grottesco visionario, decisamente più digeribile per il grande pubblico.
Eppure, quel primo "Nightmare- Dal Profondo della Notte" (azzeccatissimo per una volta il sottotitolo italiano) era una pellicola lontana anni luce per toni dai suoi più colorati (benché sempre iperviolenti) seguiti; un film piccolo, girato con pochissimi soldi (appena 1 milione ed 800 mila dollari dell'epoca) nel quale Craven rinvigorisce il filone slasher con una dose incredibile di creatività, iniettandovi una vena fantastica data dall'uso della dimensione onirica per creare situazioni pregne di tensione ed orrore.
Craven distrugge l'ultima certezza di tranquillità: la mente è il luogo in cui si annida il predatore; riesce, ovvero, a portare a galla una delle paure più inconsce ed ancestrali: quella del buio, del sonno come fine della vita, come morte non solo apparente; il non-risveglio diviene così l'incubo vero e proprio. Ma il mondo che porta in scena non conosce una vera linea di discrimine tra sonno e veglia: con una serie di escamotage narrativi, elimina la distinzione giorno/notte e realtà/incubo facendo scivolare i suoi personaggi un po' per volta dentro lo stato onirico; l'atmosfera resta sempre sospesa tra il reale e l'illusione e quando il mostro entra in scena (qui chiamato ancora "Fred", senza il diminutivo che lo rende simpatico), l'orrore si fa viscerale, pregno di una carica splatter repellente; è lo stesso Krueger a giocare con la violenza, a spaventare le vittime infliggendosi mutilazioni efferate e gratuite che scioccano per inventiva, come quando si apre il petto per far fuoriuscire un fiotto di sangue marcio colmo di vermi.
Nel sogno non ci sono regole, non c'è logica alla quale appigliarsi; la tensione deriva così dall'imprevedibilità delle situazioni; Craven gioca con le aspettative dello spettatore, riesce a creare suspanse usando il non visto, l'atmosfera data non solo dalla sospensione onirica, ma anche quella più opprimente data dalle scenografie infernali: il covo di Krueger, il locale caldaia la cui oscurità è rischiarata unicamente da fiammate infernali, è un'emanazione dello stesso personaggio, un girone dantesco in cui si aggira un demone artigliato pronto a distruggere chiunque gli capiti a tiro.
Ma il demone Kruger è, come nella tradizione del cinema horror americano anni '70 che qui continua anche in pieno decennio reaganiano, parto totalmente terreno, per di più figlio della chiusura mentale tipica della provincia americana: maniaco omicida scampato alla forca, viene linciato dalla folla, vittima a sua volta di quella giustizia sommaria che gli Americani tanto agognano e che spesso usano che veicolare una forma di innata violenza spicciola; che qui genera nuova violenza, rivolta alla nuova generazione, a quegli innocenti che ben avrebbero potuto essere sue vittime di quando era in vita; una vendetta che genera vendetta, sangue lavato con il sangue, ossia l'incubo definitivo in una società votata all'intolleranza e alla superbia.
Ma Krueger è prima di tutto l' "uomo nero", incarnazione di una paura infantile, richiamata dalla nenia cantata dai fantasmi delle sue vittime; per la sua creazione, Craven si è ispirato soprattutto ad un barbone che si aggirava nel suo quartiere quando era bambino; un mostro totale, dal volto sfregiato perennemente curvato in un ghigno satanico; ed un mostro dotato di parola, più vivo, quindi, delle maschere omicide di "Halloween" e "Venerdì 13", una presenza più tangibile e per questo più spaventosa.
Personaggio che buca lo schermo grazie a due trovate perfettamente riuscite; primo, il suo look, con il cappellaccio che ricorda quello del killer di "Sei Donne per l'Assassino" di Bava ed un maglione a righe rosse e verdi, colori incompatibili che causano un disorientamento in chi li osserva quando giustapposti; il volto sfregiato, ripugnante, quello di un cadavere redivivo non limitato ai vincoli della carne o del reale; ed ovviamente il guanto artigliato, arma che dona un tocco di originalità definitiva per renderlo ancora più riconoscibile. In secondo luogo, la scelta di affidare il ruolo ad un attore vero e proprio, Robert Englund, le cui doti recitative purtroppo saranno poi sottovalutate a causa della fama di questa sua maschera (e basta riguardarsi "Il Ritorno di Cagliostro" di Ciprì e Maresco per comprenderne l'immensa bravura); Englund riesce a caratterizzare il personaggio, in questa sua prima incarnazione, grazie alla sua voce baritonale, letteralmente "dall'Oltretomba"; ma, prima ancora, grazie ad una performance fisica, tratteggiandolo con movimenti e pose (che dirà ispirate al Klaus Kinski del "Nosferatu" di Herzog), come appoggiarsi su di un lato abbassando una spalla o chinare il capo per squadrare le vittime, come il personaggio di un film muto, aumentandone esponenzialmente l'espressività.
A questa presenza orrorifica primordiale, Craven contrappone un'eroina tutta d'un pezzo; la Nancy interpretata dalla bella Heather Langenkamp è una sorta di "final girl" definitiva, che non aspetta il terzo atto per entrare in azione; con un colpo di scena alla Hitchcock, Craven elimina il punto di vista iniziale, ossia il personaggio di Tina, alla fine del primo atto e lascia che sia Nancy a dover fronteggiare il mistero degli "incubi assassini"; è lei il centro d'attenzione e punto di vista di tutto il resto del film; del tutto ancillari sono le figure degli adulti, che per la prima volta non influiscono direttamente sulla risoluzione degli eventi; come del tutto secondaria è la figura del fidanzatino Glen, interpretato da un esordiente Johnny Depp, che si limita ad assistere alle azioni della sua compagna.
Se le caratterizzazioni della protagonista e del mostro sono azzeccatissime ed originali, Craven finisce tuttavia per cadere del suo stesso marchio di fabbrica, ovvero l'uso di trappole casalinghe per distruggere il cattivo, espediente che già aveva usato nei precedenti "L'Ultima Casa a Sinistra" e "Le Colline hanno gli Occhi", che qui risulta fuori luogo e ridicolo; davvero non si riesce a credere ad un serial killer quasi onnipotente gabbato da una serie di trabocchetti architettati da una ragazzetta in appena un'ora di tempo; senza contare come, al di là della semplice credibilità, la sequenza non funziona sul piano prettamente estetico: non spaventa, né riesce a creare la giusta suspense.
La trovata di privare di potere il mostro semplicemente ignorandolo risulta anch'essa alquanto fuori luogo: ignorare l'orrore, la violenza, il "male" sovrannaturale ma creato da ragioni strettamente terrene è una risoluzione codarda, tediosa nella sua estrema semplicità, oltre che sottilmente di cattivo gusto.
Per fortuna, a risollevare le sorti del terzo atto ci pensa l'epilogo; un finale non voluto da Craven, il quale aveva ideato una conclusione più fiabesca, con Nancy che si risveglia nel suo letto per scoprire come tutto il film fosse stato in realtà un suo incubo; ma a Bob Shaye, capo supremo della New Line, un finale chiuso non andava a genio: non permetteva la creazione di eventuali seguiti ed ha così imposto un finale da incubo vero e proprio, dove il mostro non può essere sconfitto semplicemente girandogli le spalle, infinitamente più efficace del trattamento originale. Per una volta, le ragioni del produttori si sono rivelate più azzeccate di quelle dell'autore (un po' come avverrà anni dopo con un altro cult plurigenerazionale, il "Donnie Darko" di Richard Kelly).
Finale a parte, la visione di Craven resta incredibilmente efficace. Tutte le sequenze oniriche sono da antologia; il primo omicidio, con il cadavere di Tina trascinato sul soffitto, rappresenta la distruzione delle regole dello spazio per creare puro spavento; la scena della vasca, dalla tensione inusitata, così come quella, a dir poco iconica, in cui Krueger emerge dal soffitto della camera di Nancy, dalla costruzione anche effettistica di una semplicità disarmante, eppure perfettamente terrorizzante; così come il primo transfert verso il sogno, con Nancy che si ritrova di punto in bianco all'interno del mondo onirico, in un passaggio automatico che infrange le regole della continuità spazio-temporale per creare una suspense inarrestabile che culmina con la visione di Krueger che mutila sé stesso. O la scioccante scena della morte di Glen, ancora oggi indicibilmente disturbante.
Craven dimostra, in sostanza, piena maturità e perfetto controllo del registro orrorifico, imponendosi, ora più che in passato, come maestro del cinema di genere.
EXTRA
Sempre nel 1984, nelle sale americane sarebbe uscito un altro film con le medesime tematiche di "Nightmare": "Dreamscape- Fuga dall'Incubo", diretto dal mestierante Joseph Ruben ed interpretato da un cast all star composto da Dennis Quaid, Max Von Sydow, Cate Capshaw, Christopher Plummer e David Patrick Kelly. La storia vede il personaggio di Quaid viaggiare nei sogni del presidente Usa per contrastare un serial killer, anch'egli artigliato come Krueger, e al contempo impiantargli un'idea nel subconscio, in un'anticipazione delle tematiche dell' "Inception" di Nolan.
Il successo della creatura di Craven ha offuscato questo strambo ma interessante esperimento horror sci-fi, che è comunque riuscito a divenire un piccolo cult nel corso degli anni.
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