lunedì 23 ottobre 2017

It

di Andy Muschietti.

con: Bill Skarsgaard, Jaeden Lieberher, Sophia Lillis, Finn Wolfhard, Jeremy Ray Taylor, Wyatt Oleff, Jack Dylan Grazer, Chosen Jacobs, Nicholas Hamilton.

Horror

Usa 2017

















---CONTIENE SPOILER---


Nella sua oramai ultraquarantennale carriera, Stephen King ha scritto circa 50 romanzi (più altri 7 con lo pseudonimo di Richard Bachman), una decina di raccolte di racconti, un pugno di ebook e circa 6 saggi sul mestiere di scrivere. Si può dire tranquillamente che abbia scritto anche troppo.
Il che è anche più vero quando, messi da parte i meri numeri, si tiene conto della qualità dei suoi libri. Gli esordi sfavillanti sono intoccabili, la qualità delle sue storie è sempre stata medio-alta (persino nella lunga serie de "La Torre Nera"), almeno fino ai primi anni 2000; dopodicché, complice anche i postumi per il terribile incidente che lo colpì nell'estate del 1999, le sue storie sono divenute spesso ridondanti, quando non insipide, inutili o semplicemente brutte, come nei casi di "L'Acchiappasogni" e "Doctor Sleep".
Eppure, non si può negare come esista un gruppo di romanzi di King che ogni amante dell'orrore dovrebbe leggere; ed anzi, forse tutti dovrebbero leggere; sono questi il mitico "Le Notti di Salem", "L'Ombra dello Scorpione" (che ben potrebbe ambire al titolo di suo miglior romanzo e capolavoro tout court) ed ovviamente quella che forse la sua opera più famosa e per certi versi rappresentativa: "It".




Scritto tra il 1980 ed il 1985, "It" è l'horror definitivo di King, nel quale confluiscono la sua passione per i mostri, quella per lo spaccato umano di una comunità affetta da un "male" di origine sovrannaturale, la descrizione del passaggio dall'infanzia all'adolescenza (già splendidamente descritto in "The Body", racconto alla base di "Stand by Me- Ricordo di un'estate"), l'omaggio agli orrori cosmici di H.P. Lovecraft ed uno spiccato senso per la tensione. Il tutto in un racconto magmatico di circa 1300 pagine, scritto in un periodo caotico della sua vita, durante il quale la dipendenza da alcool e cocaina raggiunse il suo culmine.
Si può dire con un pò di malizia come la mole di personaggi, descrizioni e sottotrame presenti nel libro possono essere solo il frutto di un delirio. E forse si sarebbe in ragione: la passione di King per l'accumulo di personaggi e situazioni è in "It" a tratti sfiancante; davvero troppe le pagine dedicate agli "interludi", utili ad ampliare lo spettro della narrazione riportando episodi del passato dell'immaginaria cittadina di Derry, dove spesso per molte pagine (a volte anche più di 50) la narrazione principale si interrompe per concentrarsi su quella di fatti che a stento si ricollegano al gruppo di protagonisti ed alle loro azioni. Così come è delirante l'ossessione per la caratterizzazione estrema di ogni singolo personaggio che viene presentato: ogni comparsa ha un suo arco narrativo, talvolta del tutto inutile ai fini della trama, usato per creare tensione o, ancora, per allargare artificialmente la grandezza della tela sulla quale la storia viene impressa.




Ancora più evidente, è il delirio dato dalla ripresa di una mitologia para-lovecraftiana, che però non ha un grammo del fascino dei racconti dello scrittore di Providence. Una volta giunti all'ultimo (duplice) atto, la creatura di "It" si rivela come un essere cosmico, giunto nella nostra dimensione da un'altra (da qui il collegamento con la serie de "La Torre Nera", dove un essere a lui simile, chiamato "Dandelo", appariva poco prima del finale) con lo scopo di divorare il nostro mondo, ma chissà per quale motivo si accontenta di cenare solo con la cittadina di Derry; un essere che si risveglia ogni 27 anni circa per mangiare, appunto, carne umana, in particolare quella dei bambini, poiché la paura rende più saporita la carne degli uomini e i bambini sono più facili da spaventare. Un essere di puro male, al quale si contrappone un altro essere, presente ancora prima del Big Bang: una tartaruga cosmica (Maturin, la guardiana del Vettore su cui Roland ed il suo ka-tet si incamminano) che è invece puro bene.
Mitologia ad un passo del ridicolo, un pò per i riferimenti faunistici, un pò per la mancanza di una vera visionarietà, una vera "vena di follia" che la renda davvero affascinante. Follia che però viene riversata nello scontro tra i ragazzi/adulti con l'entità malvagia, talmente delirante da sembrare uscito da un film horror psichedelico anni '70. Senza contare come, ad un certo punto, King decida di affossare tono e stile descrivendo una delle scene di maggior cattivo gusto che si possa immaginare: un'orgia tra pre-adolescenti in una fogna.
E' dunque "It" un romanzo sopravvaluto? Uno scritto in realtà mediocre che deve la sua fortuna solo al nome del suo autore? Assolutamente no.





Tolta la rivelazione sulla vera identità del mostro, la cosmogonia e l'inutile (e a dir poco vomitevole) scena dell' "orgia preadolescenziale" che fa da improponibile catarsi, la storia di Pennywise il Clown ed il gruppo dei Perdenti è a dir poco affascinate; e lo stile magmatico ma fluido della scrittura di King riesce a rendere la lettura avvincente, oltre che dannatamente disturbante.
Al di là dell'orrore che racconta, al suo nocciolo, "It" è la storia di un gruppo di ragazzi chiamati a divenire anzitempo uomini, a confrontarsi con un male la cui natura è sicuramente sovrannaturale, ma le cui azioni sono dannatamente terrene: un assassino di bambini, un uccisore di quell'innocenza che loro stessi devono perdere per sopravvivere. Un confronto, questo, che i ragazzini vincono trovando quel coraggio necessario ad affrontare le loro paure (Pennywise assume le forme della paura più inconscia di ciascuno di loro); coraggio che si materializza tramite la forza della fede in sé stessi: il potere di It risiede nella convinzione del suo potere (lo stesso termine "it" si riferisce ad una paura ed irrazionale verso qualcosa di oscuro, di ignoto, che non ha una forma precisa ma che è lo stesso avvertibile nella propria mente), cosicché l'unica vera arma da usare contro di lui viene data dalla distruzione di quella paura che incute tramite la fiducia in sé stessi, nei propri compagni e nella ridicolizzazione di quel male che, una volta spogliato di quella sua carica intimidatoria, non ha più potere alcuno.
Affrontato faccia a faccia quel male supremo, i ragazzi divengono uomini, coscienti di quel male che affligge l'intera città (società) in cui sono cresciuti. E 27 anni dopo, da adulti, sono chiamati a affrontare nuovamente quel passato rimosso, a riprendere coscienza di un episodio fondamentale per la loro formazione, a riguadagnare quella coscienza del male che li aveva resi adulti da una nuova angolazione, per poter definitivamente chiudere i conti con la propria infanzia.




La descrizione dei sette protagonisti è certosina, complessa e perfettamente riuscita. Bill Denbrough, fratello del piccolo Georgie, ossia la prima vittima del mostro che viene mostrata nel racconto, è un protagonista affascinante, un ragazzetto comune (poi adulto in realtà insicuro) che però viene idealizzato dai suoi compagni e che per questo riesce ad avere la forza di opporsi agli eventi orrorifici di cui è suo malgrado protagonista; allo stesso modo affascinanti sono Ben Hanscom, il "ciccione" dal cuore grande e dal cervello fino, la maschiaccia Beverly Marsh, il realtà dolce ed amorevole, ma anche dura come una roccia; Richie Tozier, il buffone la cui forza d'animo è però essenziale; Eddie Kaspbrak, in apparenza il più debole, ma anche lui dotato di una volontà ferrea; poi Mike Hanlon, ragazzo di colore in una cittadina di soli bianchi la cui caparbietà è pari solo alla sua intelligenza; e Stan Uris, il vero anello debole, che pur annegando nella paura riesce a combatterla e sconfiggerla.
Magnifica è anche la descrizione (ancora, talvolta fin troppo accurata) di una cittadina, Derry appunto, ormai totalmente asservita al Male, dove la violenza e la sopraffazione sono superate solo dal conformismo, dallo spirito menefreghista che porta gli abitanti ad ignorare i fatti orribili che ciclicamente avvengono per le sue strade e a rintanarsi vigliaccamente nelle proprie case.
Perfettamente riuscita è l'atmosfera malata che avvolge gli eventi, dove un sentimento costante di paura attanaglia i personaggi e con loro il lettore; in un mondo dove il confine tra realtà ed allucinazione è labilissimo, dove la fantasia e la forza d'animo sono le uniche armi per contrastare il mostro, il lettore è costantemente chiamato a domandarsi quanto di quello che viene narrato sia vero, quanto sia frutto della "malia" di It; assistendo sempre ad immagini, descritte sin nei minimi particolari, nelle quali King fa confluire tutto il suo gusto per la cattiveria e per lo splatter, rese ancora più disturbanti a causa dell'età infantile delle vittime.
Un racconto dove la situazione orrorifica presentata di volta in volta non è mai uguale a quanto visto in precedenza; King, d'altro canto, è sempre stato chiaro sulle intenzioni alla base del romanzo: riunire in un unico racconto tutti i suoi mostri preferiti, basati sulle sue esperienze al cinema; ecco dunque It abbandonare le vesti di clown quando deve uccidere per assumere le forme, ben più spaventevoli agli occhi dei personaggi, di un licantropo, della mummia, di un vampiro con lamette al posto delle fauci, del mostro di Frankenstein e della creatura della Laguna Nera; ma, anche al di là dei riferimenti filmici, le fattezze, ben più inquietanti, di un barbone sifilitico, di una mefistofelica strega di Hansel e Gretel e di uno stormo di sanguisughe volanti, in una varietà sempre fresca e spiazzante.
Il successo ed il blasone del romanzo sono quindi più che meritati: tolte alcune lungaggini e cadute di stile, "It" è davvero un piccolo capolavoro di narrativa di genere.




Nonostante lo status di best-seller già conquistato negli anni '80, la notorietà della creatura di King è però dovuta, guarda caso, ad una sua prima trasposizione audiovisiva, che come da tradizione ha dato ulteriore lustro al romanzo; caso strano per l'epoca, questa prima trasposizione di "It" non è stata un'opera destinata alle sale cinematografiche, bensì una miniserie televisiva prodotta dalla Warner Bros. Television; scelta forse dovuta alla mole del romanzo, che meglio si adattava ai tempi di trasmissione: due episodi di 90 minuti circa ciascuno. E nonostante lo scarso budget, i limiti dovuti alla censura televisiva dell'epoca (i tempi dell'eros spinto e dello splatter gettati in faccia allo spettatore di "Game of Thrones" erano lontani anni luce, sopratutto quando si tiene conto che l'emittente che ospitava la serie non era via cavo) e alle ristrettezze di visione proprie delle produzioni televisive dell'epoca, la miniserie di "It" resta un adattamento riuscito e molto fedele alla fonte letteraria, invecchiato persino meglio di quanto si possa pensare.




Merito, anzitutto, della regia di Tommy Lee Wallece (ma inizialmente al timone dell'opera doveva esserci niente meno che George A.Romero), il quale, proveniente dal mondo del cinema, imprime alla narrazione televisiva quella dinamicità che all'epoca mancava; movimenti di macchina fluidi, ritmo incalzante e, sopratutto, una fotografia curatissima, che cita persino il gotico baviano classico nella fase finale; Wallace riesce a creare un'atmosfera da incubo pur ambientando tutto il racconto in pieno giorno e trova in Tim Curry un Pennywise semplicemente perfetto. L'istrionismo del grande attore britannico si colora di una luce sinistra, apertamente inquietante: il suo ghigno satanico, la sua voce melliflua, i suoi lineamenti mostruosi si sposano perfettamente con un make-up che è invece "classico", laddove non ricerca un'iconografia strettamente orrorifica; Pennywise inquieta proprio a causa della sua apparenza da clown "normale", sotto la quale Curry riesce a far emergere con livore una carica disturbante a dir poco prorompente.




Non è da meno il resto del cast, tra i quali figurano volti noti della televisione e del cinema quali il compianto John Ritter nei panni di Ben Hanscom da adulto, la bellissima Annette O'Toole in quelli di Beverly Marsh, Olivia Hussey ed un giovanissimo Seth Green semplicemente perfetto nei panni di Richie "boccaccia" Tozier. Senza contare un altro compianto interprete, Joanthan Brandis, il vero "bambino prodigio" degli anni '90, poi suicidatosi a soli 27 anni nel 2003, il quale interpreta il giovane Bill Danbrough con un trasporto eccezionale.




Una miniserie che ha davvero fatto la storia della cultura popolare e non solo; a seguito della sua prima trasmissione in prima serata nel 1990 (in Italia arrivò un paio di anni dopo, trasmessa sempre in prime time da Canale 5, riscuotendo equanime successo), i casi di coulorofobia infantile si sono centuplicati: la fobia dei clown è divenuta una vera e propria epidemia presso i giovanissimi spettatori che hanno inavvertitamente deciso di guardare un prodotto a loro non destinato; persino qui in Italia, un'intera generazione, quella nata nella seconda metà degli anni '80, ha cominciato a soffrire di fobia dei pagliacci dopo aver visto Tim Curry in azione sul piccolo schermo.
Ma, ancora di più, è stato grazie a questo primo exploit se Pennywise è riuscito a divenire, in pochissimo tempo, una delle maschere horror più famose, apprezzate ed immediatamente riconoscibili, al pari di Freddy Krueger, Jason Voorhees e Michael Myers.




Nonostante la lunga durata, la miniserie si prende alcune libertà con il testo originario. Alcuni personaggi hanno diversi background: Ben è ora un orfano di padre, che viene avvicinato da It sotto le spoglie del defunto genitore; Stan Uris è un boy-scout... ebreo, se mai una cosa del genere sia possibile; Eddie, qui soprannominato "spaghetti" da Richie, sempre sottomesso all'ingombrante figura materna, anche da adulto vi resta legato e persino vergine. Molte sottotrame sono state eliminate, come quelle sul passato di Derry o su Patrick Hockstedder; così come lo scontro con It è semplicemente fisico: il "rito di Chud" che porta Billy e Richie ad incontrare la vera entità che si cela dietro il corpo aracniforme non trova equivalente su schermo, a causa dell'estrema complessità visiva nella messa in scena che avrebbe richiesto, troppo per una produzione televisiva dal budget medio.
Nota dolente sono, immancabilmente, gli effetti visivi; invecchiati malissimo, pur se curati dalla mitica Fantasy II che già aveva lavorato al "Termiantor" di Cameron, si compongono di scarnissime animazioni passo-uno, fuori tempo massimo e, a causa del budget ristretto, davvero poco convincenti.
Eppure, se si riesce ad andare al di là dei limiti tecnici, ancora oggi la carica visionaria ed orrorifica di questa piccola miniserie è apprezzabilissima; il che la rende una visione, se non propriamente obbligatoria, quanto meno piacevole.




Ed in un periodo in cui ad Hollywood ogni brand ed ogni pellicola cult viene "rigenerata" per poter essere rivenduta al pubblico, una nuova trasposizione di "It" era solo una questione di tempo.
I progetti per un adattamento cinematografico vero e proprio iniziarono già verso il 2010, ma solo un paio d'anni fa il film è entrato in fase produttiva vera e propria. Al timone era stato inizialmente scelto Cary Fukanaga, che, reduce dal successo della prima stagione di "True Detective", aveva cominciato la pre-produzione compiendo una scelta di cast inedita e spiazzante: il giovane Will Poulter come Pennywise, sostituto a sorpresa della favorita Tilda Swinton (e resta l'amaro in bocca se si pensa a cosa avrebbe potuto fare un'attrice del suo calibro in un ruolo del genere).
Ma a causa di vicissitudini produttive, dovute principalmente al budget stanziato, il film ha perso non solo il suo autore, ma anche il suo protagonista, sostituiti da Andreas Muschietti e da Bill Skarsgaard.
Il tocco di Muschietti. qui al suo secondo lungometraggio dopo "La Madre", sembra però essere stato in parte propizio: è stata sua l'idea di creare un film che adattasse solo la prima parte del romanzo, quella con i protagonisti ancora pre-adolescenti, che condensasse tutta la narrazione che riguarda la prima parte della storia, lasciando il resto ad un ipotetico seguito. Così come sua è stata l'idea, vincente, di aggiornare il tempo della storia, che passa dalla fine degli anni '50 alla fine degli anni '80; scelta probabilmente dettata dalla moda del revival post "Stranger Things" e "Super 8" (acuita dalla presenza di Finn Wolfhard nei panni di Richie), che tuttavia si rivela azzeccata. Meno felice è tuttavia la riuscita generale del film, che pur giocando bene con il materiale di partenza finisce per sprecare più di un'occasione.



L'opera di adattamento, innanzitutto, è alquanto bislacca. Le linee generali della storia, tutti i personaggi più importanti, così come le tematiche e le scene clou sono rimaste pressocché intatte; torna l'iconica scena della pioggia di sangue nel bagno di Bev, alla quale viene aggiunto il dettaglio dei capelli posseduti che cercano di strozzarla; così come l'incipit è una trasposizione quasi parola per parola del primo incontro tra Pennywise e Georgie. Ma, al di là del decennio in cui viene ambientata, il resto della trama si discosta molto dalle pagine di King.
Non ci sono riferimenti alla natura "lovecraftiana" di Pennywise, né viene detto esplicitamente come sia la forza dell'immaginazione a distruggerlo (non si capisce, di conseguenza, come faccia Bill a ferirlo con una pistola scarica), tantomeno riferimenti espliciti alla Tartaruga; la natura mutaforme del mostro viene enfatizzata ancora meno che nella miniserie del '90, anche se fa la sua comparsa l'incarnazione del barbone sifilitico che perseguita Eddie; viene inoltre aggiunta un'altra incarnazione, inedita, quella della donna di un quadro stilizzato che perseguita Stan; dei mostri "classici", invece, non c'è quasi traccia, esclusa una fugace apparizione della Mummia nel finale.
Alcuni passaggi della storia sono stati eliminati, nonostante la lunga durata, altri semplificati; non c'è più la sequenza del cinema con la conseguente lotta con i bulli, nè tutta la parte dedicata alle escursioni nei barren.



Anche la caratterizzazione dei personaggi è stata in parte stravolta; Bill, Eddie, Richie e Bev sono bene o male gli stessi che apparivano nel romanzo e nella miniserie; ma, non si capisce per quale motivo, Ben sia divenuto lo studioso che spiega tutta la storia di Derry e dell'influenza nefasta di Pennywise; di conseguenza, il personaggio di Mike, ora orfano che lavora in un mattatoio, è un vero e proprio foglio bianco, privo di peso e di una vera caratterizzazione, una sorta di "token black guy" messo nel gruppo tanto per.
Diverse sono anche le fobie di alcuni dei Perdenti. Richie soffre ora di coulorofobia, con tanto di omaggio seminascosto, in una sua visione, al Pennywise di Tim Curry; Mike rivede l'incendio che ha ucciso i genitori, mentre Stan è perseguitato dalla visione del quadro.
Anche il personaggio di Bill ha un arco diverso; sempre leader suo malgrado e membro più coraggioso del gruppo, è ossessionato dal ritrovare il fratellino, che crede ancora in vita, piuttosto che vendicarsi di chi lo ha ucciso; più stretto e romantico è anche il suo rapporto con Bev, a discapito del povero Ben.



Differenze a parte, a non funzionare del tutto nell'adattamento è l'arco evolutivo dei personaggi; se Bill, Ben e Bev riescono davvero a crescere e ad affrontare le loro paure confrontandosi con il Clown, gli altri Perdenti fanno quasi da spalla, con tanto di linea comica spezzatensione cucita addosso a Richie. L'ensamble funziona solo in parte e l'aver alleggerito i toni non sempre paga: il costante spezzare la tensione stempera troppo l'atmosfera in teoria cupa ed opprimente.
Per cercare lo spavento, Muschietti opta per la via più semplice e ricorre costantemente ai jump-scare, rendendo presto prevedibile l'entrata in scena del mostro e poco iusciti quando basati sui semplici primi piani delle creature; ma, prevedibilità a parte, molti si rivelano azzeccati; la bella fotografia e l'uso di scenografie ed location aride e desolate, sottolineate da una colonna sonora d'antan azzeccatissima, riescono lo stesso a creare una buona atmosfera, sempre sottilmente inquietante.



La parte del leone, alla fine, la fa però lui, Pennywise, che Bill Skarsgaard interpreta con piglio molto meno istrionico rispetto a Curry. Non più un Freddy Krueger dal naso rosso, il clown assassino è ora una creatura sottilmente inquietante, che fa dei tic e della voce buffa un perfetto strumento di spavento; azzeccato anche il suo design, che si rifà ai clown sette-ottocenteschi, più inquietanti di quello moderni, così come la trovata di dotarlo di fauci disumane, che lo rendono ancora più mostruoso.



Nonostante la lunga durata, l' "It" di Muschietti riesce a non annoiare; le cadute di stile non mancano e storia e personaggi avrebbero potuto rendere meglio in un lungometraggio. Ma anche così, questo adattamento parziale del fluviale romanzo di King resta un piccolo horror divertente, anche se un pò goffo.

2 commenti:

  1. Ottima, completissima recensione. L'avevo tenuta da parte in attesa di guardare il film (visto ieri sera), sono molto d'accordo con la tua analisi del libro, un po' meno su quella della miniserie originale. Da bambino mi aveva terrorizzato, rivista qualche anno fa ha mostrato tutti i suoi limiti di budget ma non solo. La parte con i bambini tutto sommato regge ancora, ma quando entrano in scena gli adulti il livello cala precipitosamente.

    Anche sul film ora nelle sale non la penso esattamente come te. Se è vero che alcuni personaggi (Mike in particolare) sono molto sacrificati, ho trovato l'adattamento molto rispettoso e anche furbo nell'ignorare proprio le parti più improbabili (la cosmogonia kinghiana) e quelle infilmabili (l'orgia). Muschietti ha fatto un ottimo lavoro, il casting è stato di gran livello e i ragazzi sembrano tutti delle potenziali future stelle. L'ho apprezzato davvero molto!

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