sabato 14 ottobre 2017

Quel Motel vicino alla Palude

Eaten Alive

di Tobe Hooper.

con: Mel Ferrer, Neville Brand, Marilyn Burns, Robert Englund, Carolyn Jones, William Finley, Roberta Collins, Stuart Whitman.

Horror

Usa 1976















Per quanto "The Texas Chainsaw Massacre" sia stato un trionfo sin dalla sua prima uscita in sala, il successo non ha garantito a Tobe Hooper quel rispetto che avrebbe meritato; ben sarebbe stata diversa la sua carriera se, all'indomani della creazione di Leatherface, avesse cercato più arditamente finanziatori per il suo progetto successivo, un mystery a tinte noir ispirato all'allora recente successo di "Chinatown" di Polanski.
Fortuna ha invece voluto che Hooper incontrasse il produttore Mohammed "Mardi" Rustam, che, proprio sulla scorta della fortuna del suo secondo film, decise di affidargli la regia di un progetto che, sulla carta, era in tutto e per tutto simile: un horror ad ambientazione campestre che rielaborava le gesta di un noto serial killer, in questo caso Joe Ball, conosciuto come "il macellaio di Elmendorf", intitolato "Eaten Alive" (in Italia, come al solito, il titolo è alquanto fantasioso, anche se, come nel caso di "Non Aprite quella Porta", estremamente evocativo).
Sfortunatamente, l'incontro tra Hooper e Rustam è stato tutto fuorché roseo; la piega che l'autore ha fatto prendere sin da subito alla pellicola non incontrava i gusti di quest'ultimo, interessato solo a farcire il tutto con quanto più sesso e quanta più violenza possibile; lo stesso Hooper si trova a dirigere per la prima volta un intero film all'interno di un teatro di posa, con macchine da presa 35mm enormi, che non gli consentono di imprimere quello stile scattante e fluido che aveva invece caratterizzato le sue pellicole precedenti. La rottura arriva così a poche settimane dalla fine delle riprese: Hooper abbandona il set, con sommo scontento da parte del cast, Rustam è costretto a finire il film di suo pugno, avendo carta bianca sulla direzione; e si vede: lo scarto con le sequenze dirette dal primo è enorme e l'erotismo gratuito introdotto a forza risulta talvolta ridicolo.
Ma, benché altalenante ed in definitiva poco riuscito, "Eaten Alive" rappresenta lo stesso un perfetto esempio della versatilità stilistica del suo autore, oltre che della sua solidità anche come direttore di un cast affiatato.




Come in "The Texas Chainsaw Massacre", anche in "Eaten Ailve" protagonista assoluta, prima ancora dei personaggi, è l'ambientazione, sempre texana, ma questa volta lontana chilometri dal deserto: una palude simile al bayou della Lousiana. E sempre come nel film precedente, tornano i personaggi sociopatici ed inquietanti che altro non sono se non l'espressione della grettitudine dell'America rurale.
Prima ancora del "mostro", a fare la sua comparsa è il personaggio di Buck (interpretato da un giovanissimo Robert Englund e che ispirerà persino Tarantino per l'omonimo personaggio in "Kill Bill vol. I"), essere sgradevole, che si diverte a sodomizzare le ragazze e a prenderle con la forza quando non vogliono stare al suo gioco; un ragazzo scapestrato, per il quale la violenza e la sottomissione sono passatempi, esempio di quell'idiozia venefica fucina di un orrore, come sempre nel horror americano anni '70, estremamente reale.




Non meno mostruoso di lui è la gretta signora Hattie (sotto il cui pesantissimo trucco si cela niente meno che Carolyn Jones, l'ex Morticia del telefilm de "La Famiglia Addams"), una matrona idiota, interessata unicamente al profitto, che non si fa remore a scaricare le ragazze che non collaborano, come la giovane ed innocente Clara (Roberta Collins, anche lei volto conosciuto: era Matilda l'Unna nel cultissimo "Death Race 2000"); è di quest'ultima il punto di vista iniziale della vicenda, quello della vittima, questa volta una vittima designata, una ragazza che non sarà mai una final girl; ma è proprio a seguito della sua dipartita che il film svela la sua struttura: non quella di un canonico slasher, ma quella più libera di un horror classico. Dove però il punto di vista principale diviene ben presto quello dell'assassino.




Non ci sono giovani turisti, questa volta; per lo meno, non nel senso canonico del termine. Le vittime dell'assassino sono quasi delle comparse, carne da macello la cui caratterizzazione viene curata, ma la cui presenza su schermo è relegata a pochi minuti. Tolta la prima ragazza, a divenire pasto per il gigantesco alligatore è una famiglia di estranei; una famiglia che è nucleo sociale impazzito, dove il rapporto affettivo sembra ormai aver lasciato spazio ad una vaga sopportazione. Il padre (William Finley, ossia il Fantasma di "Phantom of the Paradise" di De Palma) è un personaggio nei fatti non meno grottesco del lurido tenutario del motel, che si diverte a vittimizzarsi dinanzi a moglie e figlia e non si fa scrupoli ad imbracciare il fucile per vendicare la morte del cagnolino, in un circolo di violenza gratuita che, come ne "L'Ultima Casa a Sinistra" di Craven, non è ristretto ai soli personaggi negativi.
Il limite di demarcazione tra bene e male è più netto, però, rispetto agli altri personaggi. Primi fra tutti, i restanti gruppi del gruppo familiare: madre e figlia (interpretati da altri due volti noti: Marilyn Burns, la final girl di "The Texas Chainsaw Massacre" e la piccola Kyle Richards, poi bambina spaventata anche nel "Halloween" di John Carpenter) restano le vittime predilette, alla mercé dell'assassino per praticamente tutta la durata del film. Così come composta da vittime è la seconda famiglia che viene presentata, quella di Clara, che si è messa sulle sue tracce, con un padre (il grande caratterista Mel Ferrer) devoto, ma arroccato nel suo ruolo di irreprensibile genitore, ed una sorella più comprensiva, motore per la risoluzione degli eventi, anche se inizialmente puramente travolta dagli stessi.




Se in "The Texas Chainsaw Massacre" la famiglia era il nucleo nel quale l'orrore veniva concepito e tramandato, ora il volto più riconoscibile dello stesso è dato da un solitario, Judd (interpetato da Neville Brand, altro grande caratterista dalla lunga carriera); questi è in tutto e per tutto un ideale versione invecchiata del Norman Bates di "Psycho": anch'egli tenutario di uno sperduto motel caduto in disgrazia, anch'egli afflitto da una devianza psicologica che lo porta a massacrare chiunque gli capiti a tiro, con la scusa di dover sfamare il suo coccodrillo domestico. Ma la psicopatologia di Judd è più marcata, impossibile da celare sotto una maschera gioviale, si riverbera in un costante farneticare, in un turpiloquio idiota e nella sua apparenza fisica, sfatta e volgare, perfetta emanazione del marcio che batte al suo interno. Una follia, la sua, più vivida persino di quella di alcuni membri della famiglia di "The Texas Chainsaw Massacre", che ancora riuscivano a coprirla; non per nulla, la sua arma è una falce, ossia una versione più antica, "atavica", della motosega.




E se l'orrore di "The Texas Chainsaw Massacre" era bruciato dalla luce del sole, portato in scena con piglio verosimile, quasi documentaristico, pur sfociando alla fine in un incubo ad occhi aperti, quello di "Eaten Alive" è un incubo tout court, dove l'atmosfera è sin dall'inizio votata all'onirico; l'uso da una fotografia dai colori espressivi, quasi baviani (su tutti il rosso acceso degli esterni nella palude) rende ogni sequenza (si intende, ogni sequenza diretta da Hooper, naturalmente) irreale, rarefatta nell'uso di un immaginario ai limiti del lisergico; l'uso di animali, come carnefici e vittime, trasfigura la vicenda quasi in una favola nera, dove ogni azione è puramente onirica, dove persino la morte è esagerata, gridata, espressione definitiva di una follia che non ha solo consumato la mente, ma anche i sensi.




Ma nonostante il talento visionario di Hooper, la mancanza di un suo controllo totale sul prodotto finito è purtroppo evidente. Alle sequenze più genuinamente orrorifiche perfettamente riuscite sono giustapposte altre scene totalmente inutili, volte solo ad allungare il brodo ed a dare al pubblico altro pane per i soli occhi. Davvero inutile la sottotrama sullo sceriffo Martin e la sua palese attrazione per Libby, alla fine lasciata alle ortiche. O l'inclusione del personaggio di Lynette (la bellissima Janus Blythe, poi nel cast anche di "Le Colline hanno gli Occhi" ed amata conduttrice televisiva), messa lì solo per garantire una nudità in più.
In generale, la sensazione di una pellicola monca e finita alla bene e meglio da un sostituto è palese; il ritmo è fin troppo lento ed a parti efficacissime sono alternate lungaggini inutili che appesantiscono la visione.




Ma pur nella sua sbadataggine, "Eaten Alive" resta una prova interessante: un horror che può davvero essere definito come "lisergico" per la splendida atmosfera e che continua con efficacia il discorso iniziato con il suo predecessore; resta però l'amaro in bocca se si pensa a cosa Hooper avrebbe potuto confezionare se lasciato al suo posto.

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