mercoledì 11 ottobre 2017

Le Colline hanno gli Occhi

The Hills have Eyes

di Wes Craven.

con: Michael Berryman, Janus Blythe, Dee Wallace, Russ Grieve, James Whitworth, Lance Gordon, Cordy Clark, John Steadman.

Horror

Usa 1977














Proprio come per il suo collega Tobe Hooper, anche per Wes Craven il successo dell'esordio non lo ha portato automaticamente tra le braccia di Hollywood; sono dovuti infatti passare ben 5 anni dall'uscita di "L'Ultima Casa a Sinistra" affinché potesse girare il suo secondo film, nuovamente con una produzione dal budget striminzito; ciò ovviamente se si esclude la trascurabile esperienza con "The Fireworks Woman", piccolo film per adulti girato proprio per avere i fondi necessari per dedicarsi ad una produzione più personale.
Per il suo secondo horror, Craven decide così di omaggiare proprio quel Tobe Hooper il cui "The Texas Chiansaw Massacre" fu ispirato dal suo esordio e che lo colpì profondamente per l'abilità del suo autore e l'originalità della storia; anche "Le Colline hanno gli Occhi" racconta infatti la storia di una famiglia di cannibali del deserto (questa volta quello del Mojave) alle prese con un gruppo di turisti; ed anch'esso è ispirato ad una storia presumibilmente vera, quella del cannibale scozzese Sawney Beane e della sua famiglia, vissuti probabilmente nel XV secolo.




La famiglia è il tema centrale, in parte come in "L'Ultima Casa a Sinistra". La famiglia Carter è una tipica famiglia americana: un genitore, ex poliziotto ormai in pensione, una madre dall'indole religiosa, tre figli, di cui la più grande sposata con un uomo dal carattere duro dal quale ha avuto una bambina.
Ma il nucleo familiare è tutto fuorché unito: i litigi sono all'ordine del giorno, il padre mal sopporta il genero, nuovo maschio alfa e la figura materna viene spesso umiliata per la sua profonda religiosità. Il mito della famiglia viene disintegrato: non ci sono personaggi sorridenti o spensierati, né amore incondizionato. Ed infatti, è proprio la testardaggine del pater familias che innesca quell'orrore che finirà per divorarli.




Dall'altro lato, appostata sulle colline, la famiglia di cannibali, predoni fuori dal tempo e dallo spazio, figli dell'incesto, resi ancora più selvaggi a causa delle radiazioni dei test nucleari, il cui volto più rappresentativo è quello del caratterista Michael Berryman, letteralmente scoperto da Craven (anche se già apparso in "Qualcuno volò sul nido del Cuculo"), i cui lineamenti grotteschi sono la perfetta rappresentazione della follia violenta dei personaggi; un orrore, il loro, che al pari di quello della famiglia di Leatherface è atavico, ancorato a quel deserto simbolo stesso degli Stati Uniti, che si credeva domato ma che nasconde ancora un cuore violento, pronto a distruggere chiunque capiti a tiro; un nucleo familiare che è invece unito nei loro rituali antropofagi, dove il padre è una divinità ed i figli i suoi servi (Giove, Marte, Mercurio e Plutone); e dove l'ultimo scampolo di umanità è stato ereditato solo dall'ultimogenita, Ruby (Janus Blythe, che per Hooper era apparsa in "Eaten Alive"), la quale infatti vuole disperatamente raggiungere la civiltà.




Lo scontro tra le due famiglie è totale e Craven divide in due l'intera pellicola, proprio come nel suo esordio. Nella prima parte usa la suspense per tenere lo spettatore sul filo del rasoio, celando il più possibile i cannibali, lasciando che sia il non visto a spaventare; e facendo a pezzi, letteralmente, i protagonisti, la cui precaria unità viene dissolta.
Da metà film il tono cambia, la tensione viene ingenerata più dallo shock per la violenza esplicita, questa volta mostrata direttamente; ed al contempo, i "normali" contrattaccano i loro assalitori, dimostrandosi anch'essi votati alla violenza più bieca quando necessario e ritrovando quell'unità che la normale vita civile sembra aver loro fatto perdere.




Anche qui torna uno dei marchi di fabbrica del cinema di Craven, l'uso di trabocchetti per avere la meglio sul villain; i due giovani Brenda e Bobby riescono a sconfiggere il capobranco avversario usando l'astuzia, costruendo una trappola mortale, arrivando persino ad utilizzare il cadavere di un consanguineo pur di sopravvivere, come uomini delle caverne che devono usare l'ingegno per sconfiggere la forza bruta. Mentre nell'ultima sequenza, l'ultima immagine che ci viene mostrata è quella del genero Doug che massacra ferocemente Marte, digrignando i denti in preda alla furia omicida, riscoprendo il suo lato più selvaggio per difendere la prole.
Non c'è, in sostanza, differenza tra carnefici e vittime, tra l'uomo civilizzato ed il selvaggio; lontano dalla città, in quel cuore vivo dell'America, tutti regrediscono ad uno stato animalesco quando messi alle strette; ancora una volta, la violenza è innata, parte integrante e non eliminabile della natura umana.




Lo stile visivo di Craven si raffina e si fa volutamente simile a quello di Hooper nel suo capolavoro: montaggio veloce e movimenti di macchina che seguono i personaggi, con una predilezione per la camera a mano, la fanno da padrone; il look diviene così ancora più sporco, meno verosimile rispetto a "L'Ultima Casa a Sinistra" ma lo stesso viscerale.
"Le Colline hanno gli Occhi" non ha la forza dirompente del suo predecessore, ma la visione di Craven, anche ad anni di distanza, si rivela interessante; non un horror per tutti, lo stile grezzo lo ha fatto invecchiare peggio di molti altri film dell'epoca, colpa anche dello scarsissimo budget, ma per chi lo sa apprezzare resta una visione più che godibile.

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