con: Lucas Paul, Dali Rose Tetreault, Ross Paul, Jaime Hill.
Horror
Usa 2022
Quello che conta davvero nel cinema del terrore è la pura efficacia con la quale la sensazione di paura viene comunicata allo spettatore. Tutto il resto è una semplice sovrastruttura che talvolta può inificiare l'intenzione primaria, facendo scadere il tutto nell'improbabile. L'horror è in definitiva il "genere" dove la messa in scena e la costruzione della scena sono le uniche vere cose che contano. Ne consegue come sfrondare la narrazione di tutto ciò che non è necessario può portare ad un risultato più puro e diretto.
E' quello che succede in "Skinamarink", dove l'esordiente Kyle Edward Ball si disfà di ogni influenza "classica" per arrivare al cuore del registro orrorifico, creando un'opera tutto sommato riuscita.
La trama è pressocché inesistente: durante la notte, due bambini si svegliano in preda al terrore e scoprono che c'è qualcosa di sinistro nella loro casa, una presenza demoniaca che li perseguita e impedisce loro di scappare.
Un canovaccio che affonda le sue radici nella paura più elementare, quella della notte, del buio, quella sensazione, più forte da infanti ma presente anche da adulti, di non essere soli, che ci sia qualcosa nell'ombra pronta ad acchiapparci e farci del male.
Se già la storia è archetipica e per questo anticonvenzionale, è nella messa in scena che il film di Kyle Edward Ball trova non solo il suo punto di forza, ma anche quello di maggiore originalità e identità.
Il punto di vista è quello dei bambini, ma né loro, nè i genitori, tantomeno il demone sono mostrati in modo diretto. La macchina da presa è un'entità a sé, un occhio che si trova al livello dei personaggi e a tratti ne capta direttamente il punto di vista, ma che finisce per avere un punto di vista oggettivo negli eventi che in realtà oggettivo non è. La messa in scena non è quella di una ripresa del reale, quanto una forma di espressionismo delle sensazioni e impressioni interiori, che su schermo si sostanziano in inquadrature sghembe che alternano timidi movimenti e inquadrature fisse decentrate, in un racconto dove quello che conta non è l'evento per sé stesso, quanto ciò che evoca.
Ball crea così un'atmosfera soffocante nel modo più semplice possibile, ossia negando ogni appiglio visivo dello spettatore, il quale finisce per sperimentare in prima persona le sensazione dei protagonisti in modo persino più diretto di quanto la semplice ripresa in soggettiva avrebbe potuto garantire. Un'atmosfera opprimente sottolineata dall'uso del filtro grana che fa assomigliare le immagini a quelle di un filmino casalingo, ma mai a quelle di un found-footage vero e proprio, e che viene acuita dallo stile di regia astratto che avvicina la visione a quella di una vera e propria installazione artistica piuttosto che a quella di un semplice film. Con la conseguenza che "Skinamarink" riesce davvero a inquetare e spaventare, facendo leva sulla paura del buio, sull'impossibilità di discernere davvero cosa accada su schermo e a prevedere cosa possa avvenire, benché alla fin fine non accada nulla su schermo e gli eventi più importanti rimangano fuori scena.
L'opera di Ball potrebbe quindi ambire ad entrare nel pantheon dei migliori horror mai concepiti, se non fosse per un vero peccato capitale: a tratti è mortalmente noiosa.
Costruire un lungometraggio sulla sola atmosfera è un'impresa azzardata per un veterano e per un esordiente è una vera e propria scommessa; nonostante il talento e l'impegno, Ball non riesce sempre a tenere alto l'interesse, indulgendo troppo su dettagli inutili e rendendo intere sequenze ridondanti, tanto che alla fine gli oltre cento minuti di durata vengono quadruplicati nella percezione dello spettatore; una durata inferiore, magari di una ventina di minuti, avrebbe reso "Skinamarink" ugualmente inquietante, ma anche decisamente più godibile.
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