con: Jason Schwartzman, Scarlett Johansson, Tom Hanks, Jeffrey Wright, Bryan Cranston, Edward Norton, Matt Dillon, Steve Carell, Adrien Brody, Willem Dafoe, Rita Wilson, Tony Revolori, Bob Balaban, Tilda Swinton, Fisher Stevens, Jake Ryan, Grace Edwards, Maya Hawke, Rupert Friend, Hope Davis, Steve Park, Margot Robbie, Jeff Goldblum, .
Commedia
Usa, Germania 2023
Era solo una questione di tempo prima che Wes Anderson dirigesse un film totalmente vuoto. Vi si era avvicinato tanto già con "Il Treno per il Darjeeling", il quale però riusciva comunque a dare un ritratto credibile della "non-elaborazione" del lutto. Con "Asteroid City", purtroppo, ci riesce in pieno.
Vuotezza forse dovuta all'assenza di Owen Wilson come sceneggiatore, forse dovuta alla volontà di esasperare quel suo stile di scrittura che evita sempre catarsi risolutorie o meno, o forse ad una mancanza di ispirazione effettiva dietra la disanima di questo gruppo di personaggi disfunzionali in una situazione assurda.
Fatto sta che questa sua ultima fatica, per quanto pur sempre bella sul piano stilistico-estetico, si arena miseramente nel campo dell'insipienza.
"Asteroid City" è il racconto di un racconto, la recita di una recita, al pari del cartellone pubblicitario che riporta a sua volta una cartolina al suo interno e che appare in un paio di scene. E' in primis la pièce di un autore un po' strambo, Conrad Earp (Edward Norton), il quale ha l'idea di portarla in scena anche grazie all'incontro con l'attore che poi ne interpreterà il protagonista Augie Steenback (Jason Schwartzman). Tale protagonista si ritrova nella città del titolo, fatta unicamente da un motel ed un diner in mezzo al deserto in un imprecisato stato dell'ovest Usa, assieme ai quattro figli e fresco del lutto della moglie (Margot Robbie). Intorno a lui, causa un festival per giovani scienziati, una baraonda di personaggi pittoreschi. Ed entrambi i piani narrativi sono poi incorniciati all'interno di una terza traccia, la ricostruzione della creazione della pièce in uno special televisivo narrato da un conduttore invadente (Bryan Cranston).
Un film che è tutto nelle premesse: il caos artistico e produttivo dietro la messa in scena teatrale, il caos emotivo di un pugno di personaggi allo sbando.
Se il cinema di Anderson ha sempre giocato con uno stile di messa in scena teatrale, dove geometricità del quadro e movimenti di macchina certosini altro non sono che l'equivalente filmico di un proscenio ben allestito, "Asteroid City" va oltre e porta direttamente in scena il teatro, alternando quello vero ad una rappresentazione immaginifica della stesso, dove la finzione cinematografica amplifica quella del palco.
Pur tuttavia, questo gioco di specchi tra personaggi e attori, deus ex machina frustrati e sfigati, narratore e interpreti che non capiscono l'andazzo del copione e per questo interrompono la narrazione filmica, non trova mai uno sbocco significativo e si perde nella contemplazione onanistica della dualità narrativa; una dualità che esiste, in buona sostanza, solo per esistere, senza voler dire nulla di davvero concreto.
Se la cornice metanarrativa è così del tutto pretestuosa e, prima ancora, pretenziosa, del tutto arido è il testo nel testo, la storia di Augie, i suoi quattro figli, il suo rapporto con la strana e affascinante diva Midge Campbell (Scarlett Johansson), l'elaborazione della perdita della moglie, il rapporto con lo strambo padre (Tom Hanks) e tutto il contorno di personaggi altrettanto "spezzati" che ha intorno.
Tutti i rapporti interpersonali esistono, ma non si ha davvero la volontà di sviscerarli, di dar loro una forma che vada al di là dei semplici dialoghi briosi e delle situazioni comiche. L'unica eccezione è quella data dal rapporto tra J.J. Kellog (Liev Schreiber) e il figlio. La catarsi, come sempre, è assente, ma questa anche tutto quello che dovrebbe portare verso la stessa lo è.
Si gira così in tondo alle emozioni dei personaggi, alle loro idiosincrasie e difetti, li si sbeffeggia in gag al solito divertenti, con dialoghi freschi e ilari, dove tra l'altro ogni tanto emerge qualche influenza della cattiveria dello stile di scrittura dei fratelli Coen, non si capisce se casuale o meno. Ma non si riesce mai davvero ad empatizzare con loro, né a vederli sotto un'ottica davvero convincente. Con il risultato che tutto diventa una sarabanda di facce buffe, situazioni simpatiche e battute briose che non vanno a parare da nessuna parte.
Allo stesso modo è impossibile assimilare qualcosa dalla descrizione del contesto storico-geografico, che pur vorrebbe essere parte integrante della narrazione. Asteroid City, gruppo di bungalow nel nulla dell'America, non-luogo di passaggio attraversato da banditi nel quale tutti i personaggi si ritrovano in teoria temporaneamente e che vorrebbe diventare un luogo preciso grazie alla vendita di minuscoli lotti a prezzi stracciati; nel mentre, arrivano a galla la paura del diverso, la rincorsa verso il futuro, l'indeterminatezza e l'intettidune di militari e scienziati; tutto concorre a creare un ritratto di un'America che fu e che è, ma che non riesce mai davvero davvero ad essere graffiante.
Non resta quindi che consolarsi con la messa in scena. L'occhio di Anderson trova una nuova profondità nelle prime scene, che si fregiano di una lunghezza di campo in parte inedita. I suoi movimenti di macchina si fanno ancora più ricercati, con panoramiche quasi ossessive. Mentre l'uso dei colori è al solito magistrale, con cromatismi in parte desaturati che fanno somigliare le immagini a quadri di Edward Hopper in movimento.
Che sia l'inizio di una fase calante per la carriera di Wes Anderson? Si spera ovviamente di no: gli elementi per creare un'opera al suo solito memorabile qui ci sono tutti, è solo che il sguardo si ferma sempre, prepotentemente, sulla loro superficie.
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