martedì 31 ottobre 2023

Donnie Darko

di Richard Kelly.

con: Jake Gyllenhaal, Jena Malone, Mary McDonnell, Drew Barrymore, Noah Wyle, Maggie Gyllenhaal, Holmes Osborne, Katharine Ross, Patrick Swayze, Beth Grant, Daveigh Chase, Patience Cleveland.

Usa 2001
















Il destino di alcuni film è dettato dalle circostanze in cui questi vedono la luce (e il buio della sala) più che dagli elementi che li costituiscono. E' il caso di "Donnie Darko", quel cult ancora indimenticato ed esordio dello sfortunato Richard Kelly passato dall'essere flop subito obliato ad amatissima pellicola di culto non solo grazie alla sua natura di opera radicalmente originale e strana, quanto soprattutto al contesto storico nel quale è stata prodotta. 




La storia, in merito, è affascinante e complessa come quella di molti cult movie. 
Kelly scrive lo script nella seconda metà degli anni '90, appena laureato, e inizialmente altro non è se non una versione estesa del suo corto "Visceral Matter", creato come tesi di laurea e anch'esso strutturato su di una serie di viaggi nel tempo. Script che, fatto girare per gli studios, ottiene l'interesse di Jason Schwartzman, all'epoca star in ascesa grazie al successo di "Rushmore", che porta così Kelly e il produttore e amico Sean McKittrick ad ottenere l'appoggio della Flower Film, piccola casa di produzione co-fondata da Drew Barrymore, all'epoca una delle star più in voga ad Hollywood. 
Ottenuto un piccolo budget, appena avviata la produzione il film perde la sua star, con Schwartzaman che si defila a causa di una sovrapposizione di impegni; perdita che si rivelerà in realtà una benedizione, visto che permette a Kelly di ingaggiare Jake Gyllenhaal, il quale si rivelerà semplicemente perfetto per quel ruolo che gli permetterà di iniziare la sua scalata allo stardom.




Completate le riprese, il film viene presentato al Sundance Film Festival, dove però l'accoglienza è a dir poco fredda, cosa strana visto che a prima vista sembrerebbe un prodotto creato su misura per il tipo di pubblico che solitamente lo frequenta (tanto che se rivisto oggi e contestualizzato in quel 2001, sembra la fusione perfetta tra le pretese artsy del cinema indipendente anni '80 e l'estetica hipster degli anni '00). Su istanza della produzione, Kelly decide così di accorciare il montato finale e inizia a cercare qualcuno in grado di distribuirlo in sala. Cosa che avviene solo grazie all'intercessione di un giovane Christopher Nolan e di sua moglie Emma Thomas, all'epoca forti del successo di "Memento".
Ottenuta la distribuzione, fissata per Halloween 2001, avviene l'impensabile, ossia l'11 Settembre e il resto risulta anche alquanto scontato: il pubblico non vuole saperne nulla di un film su di un adolescente problematico che alla fine muore a causa di un aereo che si schianta contro una casa. Il flop è servito e sembrava che "Donnie Darko" dovesse finire irrimediabilmente nel dimenticatoio, finché qualcosa di strambo non è accaduto.
A circa un anno dall'uscita in patria, arriva in Inghilterra dove invece il successo di pubblico, benché non trascinante, non manca. Sembra finalmente che ci sia effettivamente pubblico per questo bizzarro oggetto d'autore, mix di dramma adolescenziale, love-story e fantascienza post-moderna; grazie così ad una campagna virale ispirata a quella di "The Blair Witch Project", il film torna in sala anche in Usa e soprattutto viene distribuito in DVD dalla Fox, venendo così riscoperto da quel pubblico di riferimento che lo aveva ignorato giusto qualche tempo prima (in Italia arriverà solo nel 2004, grazie alla allora neonata Moviemax).
Così, tra proiezioni di mezzanotte e infinite discussioni sui forum sull'effettivo significato del film, "Donnie Darko" diventa uno dei pochi, veri cult degli anni '00 e i suoi elementi estetici, come l'iconografia di Frank il Coniglio e la colonna sonora, diventano parte integrante della cultura popolare.
A oltre vent'anni di distanza dalla nascita di questo fenomeno, bisogna quindi chiedersi qual è il valore effettivo di "Donnie Darko" e persino quale il suo effettivo significato.




"Donnie Darko" è praticamente due film in uno. E contando che ne esistono due versioni, la theatrical e la director's cut, è praticamente quattro film.
Partendo da quest'ultimo aspetto, è davvero difficile stabilire quale sia la versione superiore e persino quale delle due visioni sia quella effettivamente voluta da Kelly. La theatrical nasce sicuramente come versione di compromesso per la distribuzione, ma a parte un pugno di scene eliminate, non presenta nulla che di fatto non sia stato voluto dal regista. L'uso della musica originale di Michael Andrews e la durata più corta portano ad una fluidità del racconto decisamente maggiore che rende il tutto più godibile, oltre a presentare un'atmosfera onirica decisamente più marcata e affascinante. Di contro, l'esclusione degli inserti su libro "La Filosofia del Viaggio nel Tempo" rende la traccia fantastica ai limiti dell'inintelligibile e finisce persino per alterarne ogni possibile interpretazione da parte dello spettatore che non ha seguito tutte le spiegazioni riportate sul sito ufficiale del film, vera e propria "bibbia" per decodificare tutti i simboli, i simbolismi e i rimandi filosofici sparsi per tutta la durata.
Viceversa, la director's cut, creata praticamente per speculare sul ritrovato successo del film, rende l'elemento fantastico decisamente più comprensibile, anche se non in maniera didascalica e lasciando lo stesso il giusto alone di mistero, ma rende il racconto più farraginoso e l'atmosfera onirica meno pregnante.
In entrambe le versioni, tuttavia, risalta lo stesso la capacità di Kelly di fondere la descrizione del malessere adolescenziale con una storia sci-fi complessa e affascinante, ossia il vero motivo per il quale il film merita di essere amato.




L'ambientazione anni '80 non deve trarre in errore: il personaggio di Donnie è innanzitutto una sorta di archetipo dell'adolescente "problematico", il cui comportamento, le cui paure, insicurezze e incertezze caratterizzano i ragazzi di praticamente ogni era. Al contempo, è la personificazione di quella generazione nata nei primi anni '80, coloro che erano adolescenti all'uscita del film, stretti tra il vuoto della Generazione X e quello degli emo, condannati ad essere troppo sensibili rispetto alla prima e troppo cinici rispetto ai secondi. Ragazzi (ora adulti) nati e cresciuti in un mondo dove la frivolezza ha fagocitato ogni tipo di valore creando un abisso tra i loro bisogni e la ricettività degli adulti. Adulti che nel mondo di "Donnie Darko" sono quasi tutti figure incapaci. 
Si parte dai genitori, con i quali il ragazzo non riesce ad avere un rapporto serio, come quando la madre cerca di capire invano cosa l' attanaglia; genitori che preferiscono così delegare l'effettivo ascolto alla figura della psichiatra (interpretata da una Katherine Ross che decise di tornare a recitare perché colpita dalla profondità dello script), l'unica in grado di recepire paure e insicurezze, ma ovviamente non in grado di fornire l'appoggio affettivo e umano del quale Donnie necessita. Nella director's cut è però presente una scena bella e importante nella quale lui e il padre riescono ad avere finalmente un discorso, nel quale quest'ultimo gli confessa di essere stato anche lui un "adolescente problematico" e di aver capito come, in realtà, fossero gli adulti ad essere davvero problematici.




Allo stesso modo, il mondo della scuola è un vero e proprio universo alieno dove nessuno è in grado di dare un indirizzo sensato ai giovani. 
La figura più mostruosa, qui, è quella della professoressa di educazione fisica, la sig.ra Farmer (Beth Grant), la quale impone ai ragazzi la filosofia di vita di un guru, Jim Cunningham (il compianto Patrick Swayze, in un ruolo in realtà lontano dal glamour che lo rece celebre), che limita lo spettro delle emozioni in amore e paura, radicalizzando la visione freudiana di Eros/Thanatos e appiattendo l'esperienza umana su due poli opposti e inconciliabili, creando così solo confusione in chi cerca risposte alla complessità dell'esistenza. Un vero e proprio "anticristo" che Donnie sbugiarda e il cui ruolo di distruttore dei giovani viene centuplicato quando lo si scopre pedofilo irredento.
Al contempo, la sig.ra Farmer è anche la personificazione di quel bigottismo americano (e universale) che non concepisce altre forme di cultura oltre la propria, da cui il rigetto della letteratura di Graham Greene, tacciata come "pornografica" (e con l'autore scambiato per Lorne Greene) perché descrive in modo preciso la violenza e il ribellismo giovanile, sberleffo a quelle campagne d'odio che i mass media lanciavano trent'anni fa come oggi verso tutte quelle forme narrative ritenute a torto come nocive per i giovani. Il fatto poi che lei stessa non si renda conto di come i balletti fatti fare dalle ragazzine che lei stessa patrocina siano più diseducativi di tutta la letteratura possibile, è un contrappunto ironico e graffiante.




Gli unici davvero maturi nel contesto del film sono la professoressa di lettere Pomeroy e quello di fisica Monnotoff (Noah Wyle), suo compagno. La Pomeroy (alla quale Drew Barrymore presta il volto, caricandola di una sottile dose di sensualità) è colei che cerca di stimolare i ragazzi alla riflessione tramite la lettura e forgiandone i rapporti interpersonali (è lei che fa letteralmente incontrare Donnie e Gretchen, avviandone la love-story); non per nulla, viene licenziata con l'accusa di averli sviati. Monitoff è invece in parte figura guida, spiegando a Donnie il funzionamento quantistico dell'universo, in parte tutore che guida gli studenti a comprendere l'effettivo valore delle esperienze, come nella lezione sull'invenzione di Donnie e Gretchen, ma il suo apporto sembra comunque essere in larga parte inutile per le necessità degli alunni.
L'ultima adulta, Roberta Sparrow, detta "Nonna Morte", è quella che in un ideale cammino dell'eroe avrebbe tutorato il protagonista, aiutandolo a compiere l'impresa, ma il suo ruolo attivo finisce per essere minimo, contribuendo solo grazie alle pagine del libro che scrisse e che permette a Donnie di comprendere la situazione surreale in cui si trova a vivere, ma solo in parte e comunque senza riuscire mai davvero a fargli compiere le azioni decisive.




In un tale contesto, in questi anni '80 che Kelly ritrae come un vero e proprio buco nero umano e culturale, i ragazzi sono lasciati a loro stessi, in balia di emozioni, sensazioni, dubbi esistenziali e materiali che così finiscono per schiacciarli; da cui lo status di paranoide di Donnie, ma anche di Gretchen e di Cherita (Jolene Purdy), sorta di suo silenziosa alter-ego.
Donnie, in particole, fulcro e punto di vista quasi del tutto esclusivo del film, da questo punto di vista incarna l'archetipo romantico del pazzo, di colui che ha un grado di coscienza superiore al resto della società omologata a valori falsi e vacui e per questo viene percepito come demente. Diagnosticatogli i sintomi di schizofrenia paranoide, afflitto da sonnambulismo e da quelle visioni che vengono considerate come semplici allucinazioni (inizialmente tutta la narrazione gioca sull'effettiva possibilità che Frank il Coniglio non sia altro che il parto della sua mente, benché tutti gli indizi sul fatto che sia reale siano sempre presenti), Donnie è una sorta di profeta maledetto, una figura cristologica che indica la via della salvezza solo per essere biasimato per i suoi comportamenti. Un ragazzo che si ritrova isolato in sé stesso (magnifica la scena iniziale, con lui che si risveglia nel mezzo del nulla, sorta di risveglio apofatico che ne simboleggia lo status di individuo in un mondo di spettri) e che trova una forma di simpatia solo in quelle figure femminili speculari (Gretchen e Cherita, appunto) anch'esse marchiate dal dramma e alienate dal resto della società.
Laddove il ritratto giovanile è di facile comprensione e rappresenta il tratto per il quale "Donnie Darko" risulta riuscito e soprattutto godibilissimo anche per chi non ne riesce a comprendere la totalità della storia (ossia un buon 99% di chiunque lo abbia visto), la componente fantastica è decisamente ostica e sin troppo complessa, variando anche di significato a seconda della versione del film.



Per comprenderla, occorre innanzitutto comprendere la forma dell'universo del film e la filosofia che la informa, elementi carpibili solo all'interno della director's cut.
L'universo di "Donnie Darko" si basa sulla concezione einsteniana del creato. Il tempo è relativo, connesso allo spazio e alla gravità ed esistono infinite possibilità che si sostanziano in infinite linee temporali; con la differenza, rispetto a quanto visto in molte iterazioni fantastiche anche recenti, che queste coesistono tutte all'interno del medesimo universo, non sono distinte da "spazi tra gli spazi". Pur tuttavia, è possibile bucare il tessuto della realtà tramite uno dei famosi ponti di Einstein-Rosen, i "wormhole" che permettono di muoversi a ritroso nel tempo e attraverso le diverse possibilità del reale. Pur tuttavia, ciò comporta rischi immani.
La vicenda fantastica ha inizio quando un oggetto estraneo, il reattore di un boeing, attraversa un wormhole, evento che non si limita a spostarlo da un regno della possibilità ad un altro, ma finisce per creare un nuovo universo, un universo secondario rispetto a quello "reale" che prende il nome di "universo tangente"; pur tuttavia, l'esistenza di un oggetto alieno all'interno di tale nuovo universo lo rende instabile sul piano materiale, andando a sovraccaricarne la massa fisica (si pensi alla famosa goccia che fa traboccare un vaso già pieno). L'universo tangente collasserà quindi in circa 28 giorni, ossia il conto alla rovescia che Frank rivela a Donnie al loro primo incontro. 
La vera conseguenza di tale singolarità è però persino più apocalittica: l'universo tangente è collegato a quello principale, collassando su sé stesso creerà un buco nero che finirà per inghiottire l'intero piano dell'esistenza, annichilendo letteralmente tutto il creato. Per evitare la distruzione totale e definitiva, il reattore deve quindi essere riportato nell'universo originario prima della scadenza del countdown. Ed è qui che entra in gioco Donnie.




Donnie è una sorta di prescelto, definito "il ricettore vivente". Tale ruolo è casuale, così come casuale è il fatto che sia proprio un reattore ad essere l'oggetto transdimensionale (è facile però pensare che nell'universo principale si sia staccato dall'aero che riporta a casa la madre di Donnie nel finale, da cui anche la risoluzione che il ragazzo dà agli eventi, in un loop totalizzante). Il suo ruolo di "agente del destino" gli garantisce dei veri e propri superpoteri, come la telecinesi, che nel finale usa per staccare il reattore dall'aereo in volo e farlo passare attraverso il buco nero che connette l'universo tangente con quello principale, ristabilendo l'equilibrio; il suo status di "supereroe" viene persino sottolineato da Gretchen al loro primo vero incontro.
Laddove Donnie è l'agente, Frank è il deus ex machina, il burattinaio che crea quelle situazioni che portano Donnie a prendere la decisione finale. Ruolo che in realtà ha anche Gretchen. Entrambi sono i "morti manipolati", ma sarebbe meglio definirli come "manipolanti" visto il ruolo attivo che hanno nel forgiare gli eventi, e si contrappongo ai "vivi manipolati", ossia i personaggi viventi il cui destino viene cambiato dai morti per garantire la salvezza dell'universo. Quando poi l'equilibrio viene ristabilito, la realtà ripiega su sé stessa e gli eventi accaduti nell'universo tangente svaniscono, i vivi manipolati dell'universo principale ricevono i ricordi delle loro controparti dell'universo secondario sotto forma di sogni, da cui il montaggio finale.




Frank è il crononauta che in punto di morte riesce a viaggiare a ritroso nel tempo (sempre all'interno dell'universo tangente) per creare quel sentiero che Donnie seguirà. E' lui che gli salva la vita facendolo uscire di casa durante la notte dell'incidiente, che gli sarebbe stato fatale; è sempre lui che lo ispira ad allagare la scuola, evento che porta alla creazione del rapporto con Gretchen. E' sempre lui a rivelargli l'ubicazione della casa di Jim Cunningham, il cui incendio doloso porta la sig.ra Farmer ad abbandonare la gita con il gruppo di ballo, forzando la madre di Donnie ad accompagnarle, lasciando la casa, il che permette a Donnie e Gretchen di unirsi, a Frank (che in via sottile si rivela essere il fidanzato della sorella maggiore di Donnie) di trovarsi a casa di "Nonna Morte" e uccidere Gretchen.
Frank è il manipolatore attivo, mentre Gretchen quello passivo: è lei che dà a Donnie la forza di superare quella sua innata paura di morire da solo, gli regala l'unico vero rapporto umano completo (sia fisico che emotivo) ed è la sua morte che lo porta alla convizione definitiva di salvare l'universo.




L'universo in cui Donnie e gli altri personaggi si muovono (a partire dalla scena del primo incontro con Frank) è quindi quello tangente, ossia un mondo fasullo, da cui il simbolismo che Kelly usa per tutto il film. Il mondo di Donnie è falso e lui ne è in qualche modo cosciente, le persone che incontra non sono che dei riflessi di quelle reali, abitanti dell'universo primario; da cui i simboli carrolliani dello specchio e del coniglio, che Kelly fa totalmente suoi.
Già nei video di auto-aiuto di Cunningham viene affermato come sia necessario guardare sé stessi attraverso (e quindi al di là) dello specchio, poiché l'immagine riflessa in essa è quella reale, mentre quella che si ritiene reale è per forza di cose artefatta. Donnie incontra spesso Frank davanti allo specchio nel quale conserva le medicine (da cui la sottilissim ambiguità secondo cui potrebbe essere il parto della sua mente) e quando cerca di toccarlo è bloccato da una superficie solida e trasparente, come quella di un vetro che li separa, resa ancora più netta dalla contrapposizione tra campi nel montaggio che li impedisce di apparire nella medesima inquadratura fino alla scena del cinema.
Frank è poi il coniglio che porta Donnie in un altro mondo, o, per meglio dire, colui che lo accoglie all'interno di questo nuovo mondo nel quale si ritrova suo malgrado ad esistere, mostrandogli la profondità di questa sua "tana" e indicandogli la via d'uscita.
L'altro parallelo intessuto da Kelly (questo però presente solo nella director's cut) è quello con "La Collina dei Conigli" di Richard Adams. Oltre all'ovvia corrispondenza faunistica, tratteggia il suo proatonista come una sorta di immagine speculare di Quintilio (Fiver in originale), il coniglio afflitto da visioni di morte, il quale riesce a mettere in salvo il suo branco dalla ditruzione del boschetto, ossia del loro mondo. Con la differenza che Quintilio non viene ostracizzato a causa del suo potere.




Altrettanto complesso è la nozione di destino all'interno del mondo del film. In esso coestistono sia il concetto di fato che di libero arbitrio. Gli esseri umani sono guidati da una linea invisibile che seguono durante i loro spostamenti, una specie di linea del destino che parte dal plesso solare e che Donnie è in grado di percepire forse a causa dei poteri dei quali è stato insignito. Pur tuttavia, essa sembra generarsi solo a seguito di una decisione presa spontaneamente, da cui la sua rappresentazione di entità fluida (ricamata, per stessa ammissione del regista, dall' agente dell'entità aliena di "The Abyss"), da cui possibilità di manipolarla, tanto che Frank sembra poterlo fare, mostrando a Donnie il luogo in cui il padre custodisce la pistola che lo porterà alla morte.
Uno dei dialoghi chiave del film riguarda proprio la dicotomia solo apparente tra destino prestabilito e destino mutabile: laddove una persona ha la coscienza del proprio destino, esso diventa malleabile; pur tuttavia, il destino per sua stessa definizione è immutabile, dunque esso può davvero essere mutato? A ciò il film da una risposta positiva, visto che nel finale l'eroe riesce davvero a salvare il mondo. Ma resta un quesito sull'effettiva esistenza di Dio e sul suo ruolo sugli eventi.
In questo è lo stesso Donnie ad essere chiaro, dicendo di credere in Dio e di come egli in realtà non interferisca con gli esseri viventi, prendendo una posizione esplicitamente agnostica.




Laddove la forma dell'universo è tanto complessa quanto flessibile e lo script riesca ad elaborare una trama che fa della costruzione dell'azione un crescendo di eventi che si dovrebbero incastrare alla perfezione, restano lo stesso un paio di elementi quantomeno ambigui.
Il primo riguarda il termine "cellar door", la porta della cantina, interpretato da Donnie come quella dello scantinato della casa di Nonna Morte, luogo nel quale gli eventi finali prendono piede e da dove inizia a delinearsi il cammino che lo porterà alla decisione finale. Tale termine appare praticamente in modo casuale, scritto dalla sig.ra Pomeroy sulla lavagna, decisione di scrittura alquanto stramba se si pensa alla sua estrema importanza, tanto che sarebbe stato più sensato se fosse stato Frank a sussurrarglielo.
Il secondo riguarda la decisione finale di Donnie di restare nel proprio letto una volta lanciato il propulsore attraverso il wormhole, cosa che avrebbe potuto evitare data la coscienza degli eventi traslatagli dall'universo tangente (è sancito esplicitamente come l'agente ritenga anche i ricordi creatisi nell'universo secondario), forse indice della sua maturazione come persona, del superamento della sua paura di morire da solo. Il tutto però non è chiaro ed è forse dovuto allo stile di scrittura ottuso di Kelly, figlio anche della sua poca esperienza come filmmker.




Questa è però la spiegazione degli eventi rinvenibile della director's cut; nella theatrical cut, invece, la traccia sovrannaturale assume dei connotati diversi, più vaghi perché rimessi totalmente all'interpretazione dello spettatore e per questo in senso lato meno oggettivi e più rivolti all'interiorità del protagonista.
Lasciando fuori da montaggio gli estratti del libro, in questa versione non ci sono riferimenti all'universo tangente e alla relativa scissione da quello primario. L'universo, per quel che è dato capire allo spettatore, è uno solo e di conseguenza tutta la storia cambia radicalmente.
Frank, qui, torna indietro nel tempo non per salvare il mondo reale, ma il "mondo emotivo" di Donnie, il quale "finisce" con la morte di Gretchen. La singolarità che si vede nel finale non è il buco nero che fa collassare gli universi, ma il wormhole che collega due punti nel tempo. Il reattore non si stacca grazie ai poteri di Donnie, ma viene da esso semplicemente risucchiato, anche se fuori scena; e sempre fuori scena, Donnie decide di tornare indietro nel tempo e morire nella sua stanza per salvare la vita della ragazza. Il montaggio finale con i volti dei personaggi indica così le vite che il ragazzo ha o avrebbe toccato e quindi cambiato in un modo nell'altro.




La bellezza di "Donnie Darko" risiede nel suo fascino, dato dal mood che la regia di Kelly riesce ad evocare. Sin dalle prime battute, entriamo in una realtà sospesa, come un sogno dal quale Donnie non riesce a svegliarsi persino quando vive ancora nell'universo primario. All'epoca della sua riscoperta, Kelly citò come fonti di ispirazione il primo cinema di Peter Weir e quello di Terry Gilliam, influenze facilmente riscontrabili: a tratti il mondo di Donnie sembra davvero quello di "Picnic a Hanging Rock", solo traslato negli anni '80, mentre Gilliam viene omaggiato apertamente nella visione onirica dell'ufficio nel mare, che potrebbe essere tranquillamente inserita in "Brazil".
Eppure, l'inlufenza più avvertibile è anche quella che l'autore è più restio a citare, ossia quella del cinema di David Lynch. Come lui, anche Kelly riesce a rendere oggettiva l'interiorità del protagonista, con tutta la narrazione che potrebbe essere davvero la pura messa in scena del suo subconscio. E' singolare in merito notare come "Donnie Darko" sia praticamente coevo a quel "Mulholland Drive" del quale ha in parte in comune la struttura, con una prima parte dove viene presentato un mistero ed una seconda dove questo viene via via disvelato.




Il difetto del film? La sua natura di opera prima; Kelly ha voluto dire troppo, aggiungere troppi elementi, girare troppe scene. La sua visione originaria, vicina a quanto poi confluito nella director's cut, è fin troppo pregna di elementi e dettagli. Paradossalmente, la theatrical, pur criptica e diversa nella sostanza, riesce ad essere di più agevole visione e persino più fascinosa. Nella director's cut è poi anche forzata l'inclusione dei superpoteri che il protagonista non usa praticamente mai e che esistono solo per facilitare la risoluzione degli eventi.
Quanto all'eredità del film, va detto che, a oltre vent'anni dalla sua ascesa a cult, è ancora fortemente presente nell'immaginario collettivo. Kelly, dal canto suo, ha avuto una carriera purtroppo breve, con soli altri due film all'attivo. E la promessa di un sequel del suo cult che vada a sostituire quel "S.Darko" che altro non è se non una brutta copia d'accatto.

2 commenti:

  1. Brutto quando il tuo film migliore è il primo che hai diretto, però questo è uno egli ultimi Cult veri che abbiamo visto, prima che "Infernet" bruciasse tutto nel fuoco dell'Hyyyyyype maledetto. Buon Halloween! Cheers

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    1. "Donnie Darko" resta (spero per ora) il suo miglior film, ma c'è da dire che anche gli altri due meritano, persino quella pazzia su pellicola chiamata "Southland Tales".

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