Ai no Korida
di Nagisa Oshima
con: Eiko Matsuda, Tatsuya Fuji, Aoi Nakajima, Yasuko Matsui, Meika Seri, Kanae Kobayashi.
Pornografico/Drammatico
Giappone (1976)
1972: "Deep Throat" sbanca i botteghini, la pornografia, da genere totalmente underground riservato all'intrattenimento nei salotti per bene dell'alta borghesia e nei postriboli, viene promosso a genere filmico vero e proprio e sdoganato verso il pubblico di massa; tuttavia esso non riesce a trovare una sua vera e propria identità: la pornografia resta relegata a registro di puro intrattenimento e, nonostante circoli ora nei cinema di serie A, in molti sono scettici riguardo il suo effettivo valore artistico; nel 1976 Oshima Nagisa decide di approcciarvicisi nell'intento di darle una dignità filmica effettiva.
Tratto da un fatto di cronaca reale, "L'Impero dei Sensi" (titolo al quale i distributori italiani hanno aggiunto un trionfale "ecco" a causa delle vicissitudini distributive che ne bloccarono per qualche tempo la circolazione) narra la travagliata storia di passione tra la bella Sada (Eiko Matsuda) e Kichizo (Tatsuya Fuji), il cui rapporto extraconiugale presto si muta in una torbida e bollente storia d'amore, sullo sfondo del Giappone degli anni '30.
L'approccio di Nagisa è secco e diretto: il film è vera pornografia, gli amplessi tra i due attori sono reali e mostrati direttamente, senza lasciare nulla all'immaginazione dello spettatore; il grande autore tenta di mostrare un rapporto deviato tra un uomo e una donna: quest'ultima è irrefrenabilmente attratta dal suo amante, eppure non riesce a lasciarsi trasportare dall'eros; l'amore fisico che prova è totalmente meccanico, un rito di esternazione delle proprie sensazioni consenziente, ma non appagante; a differenza di quanto accade con la prima moglie di Kichizo, la quale riesce a concedersi totalmente durante l'amplesso; la rivalità e l'invidia di Sada la portano a sperimentare pratiche sempre più estreme e talvolta finanche degradanti, fino ad un epilogo fatale; Nagisa narra la pazzia d'amore, dunque, filtrata tramite la pornografia: l'ossessione del desiderio che non può appagarsi mai del tutto e che per questo si fa sempre più pressante; eppure qualcosa non torna: man mano che la pellicola procede non si capisce per quale motivo la donna non riesca a concedersi: non per pudicizia, giacché è sposata con il partner, né per motivi sociali, visto che le sue umili origini non le impongono di rispettare l'etichetta, né per paura del giudizio altrui, come si esplica in una determinata scena.
La meccanicità dell'orgasmo non ha ragione d'essere e quindi diviene metafora fine a sé stessa, lasciando lo spettatore totalmente privo di certezze sul valore effettivo della storia, che diviene così un puro pretesto per mostrare le scene di sesso; e qui Nagisa compie un ulteriore passo falso: le pratiche sessuali dei protagonisti divengono, come detto, sempre più degradanti e, mostrate su schermo senza veli nè pudicizia, sfondano spesso il limite del cattivo gusto: davvero in pochi riuscirebbero a non disgustarsi di fronte alla scena dell'uovo o al tragico finale, sia per la forte componente grafica sia perchè non non rappresentanti una metafora o un simbolismo particolare, ma solo una forma di provocazione gratuita; ulteriore ingenuità dell'autore: il parallelismo che verso la fine compie con la situazione storica dell'epoca resta del tutto sterile: cosa dovrebbe significare la scena in cui Kichizo incrocia dei soldati, visto che quasi tutta la pellicola giace in un'atmosfera fuori dal tempo e quasi surreale? Si vorrebbe forse erigere la storia d'amore deviata tra amanti a metafora della deriva del paese? Non è dato saperlo: anche qui la metafora non funziona. Nagisa, dunque, delude: "L'Impero dei Sensi" è una pellicola forte e provocatoria, ma del tutto insipida e fredda; l'autore non riesce a dare dignità alla pornografia (anzi: la storia alla base del film si sarebbe potuta raccontare anche senza l'uso di scene hard e forse avrebbe funzionato di più), né a dare un significato preciso e chiaro alla pellicola, girando continuamente su sé stesso; ed è un peccato visto il suo immenso talento.
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