Histories Extraordinaires
di Roger Vadim, Louis Malle, Federico Fellini.
con: Jane Fonda, Peter Fonda, Alain Delon, Salvo Randone, Brigitte Bardot, Terence Stamp.
Episodi/Horror/Gotico
Italia/Francia (1968)
Negli anni '60, il film ad episodi rappresentava un filone di grandissimo successo nel cinema europeo: tre o più registi si cimentavano, sulla base di un argomento comune o, talvolta, direttamente "a contenuto libero", con il cortometraggio per creare una serie di episodi da incastonare in un unica pellicola; basta pensare a film come "Ro.Go.Pa.G.", "Capriccio all'Italiana" o "Le Streghe" per comprendere come il cortometraggio possa avere una forza espressiva e narrativa pari (se non talvolta addirittura superiore) a quella del lungometraggio (e di fatto Pier Paolo Pasolini, nei primi due film citati, ha diretto due opere imprescindibili della sua filmografia: "La Ricotta" e "Che Cosa sono le Nuvole?"); pratica, quella dell'eipisodico, che nel corso del tempo è purtroppo caduta in disuso: la differenza stilistica degli autori portava spesso a risultati fortemente stridenti, dove a corti eccellenti se ne affiancavano altri genuinamente mediocri, tant'è che il filone è stato ripreso molti anni dopo solo dal cinema horror americano (basti pensare a "Creepshow", del duo George A.Romero/Stephen King del 1982 o alla recente antologia V/H/S del 2012) o in quello orientale ("Three... Extremes") con risultati altalenanti.
"Tre Passi nel Delirio" può essere visto come il perfetto esempio del cinema ad episodi, foriero com'è di tutti i suoi pregi e difetti; tre grandi registi, Roger Vadim (autore di "Relazioni Pericolose" e del cult osè "Barbarella"), Luois Malle (regista dell'imprescendibile "Ascensore per il Patibolo") e Federico Fellini (servono presentazioni?) si cimentano con l'adattamento di tre racconti di Edgar Allan Poe, il cui orrore macabro e gotico all'epoca rappresentava ancora il sostrato fondamentale per ogni storia di brividi; nascono così tre episodi differenti per stile e contenuti, che formano un trittico non del tutto riuscito.
METZENGERSTEIN
Primo segmento, diretto da Vadim; la protagonista è la giovane contessa Frederique de Metzengerstein (Jane Fonda, bella più che mai), grossa proprietaria terriera che passa le sue giornate alternando orge promiscue, sadomaso e relazioni saffiche a lunghe cavalcate nei boschi; durante una di queste conosce un suo cugino, il bello e tenebroso Wilhelm Berlifitzing (Peter Fonda, nella realtà fratello di Jane), del quale si innamora perdutamente: sarà l'inizio della sua rovina.
Inutile negarlo: questo primo episodio è genuinamente brutto; Vadim costruisce l'intera narrazione basandosi quasi esclusivamente sul montaggio delle immagini, ma così facendo vanifica ogni enfasi e, pertanto, ogni forma di tensione; non aiuta di certo la trama, una storiella foriera di tutti i luoghi comuni dell'horror gotico, che non stupisce nè appassiona, riuscendo ad annoiare fin dai primissimi minuti; unico lato positivo: Jane Fonda; la bella attrice americana all'epoca era ancora una sex symbol e si concede in abitini striminziti che mettono in risalto le sue grazie; i fans apprezzeranno, ma per tutti gli altri vi sarà solo noia.
WILLIAM WILSON
Secondo episodio, diretto dal grande Loius Malle, questo "William Wilson" è la storia di un giovane ufficiale asburgico (Alain Delon, nelle inediti vesti di cattivo) sadico e beffardo, che viene perseguitato da un suo misterioso gemello che ne sabota le cattive azioni, umiliandolo di fronte al suo pubblico; il tema del doppio viene qui declinato nella classica dicotomia bene/male; nulla di nuovo, quindi, anche per quel che riguarda la poetica di Poe, dove in racconti quali "Il Gatto Nero" si assisteva alla distruzione di un tale minicheismo; Malle, tuttavia, riesce a trasformare un racconto non esaltate in un film godibile: inizia la narrazione in medias res per incuriosire il pubblico, non eccede in brividi, ma lascia tutta l'enfasi sulla caratterizzazione del giovane protagonista; al resto pensano gli attori: un Delon convincente e mefistofelico e una Brigitte Bardot bruna e bellissima; "William Wilson" risolleva le sorti del film, quindi, pur non essendo nulla di memorabile.
TOBY DAMMIT
Di tutt'altra pasta il terzo episodio, diretto dal grande Maestro riminese; "Toby Dammit" è la storia di un attore inglese (il mitico Terence Stamp) in trasferta capitolina, chiamato a girare uno spaghetti western dietro il compenso di una Ferrari ultimo modello; Fellini crea un'opera di grandissimo fascino: la sua visionarità sfrenata mette in scena le allucinazioni e le perversioni del protagonista, un attoruncolo sfatto e perennemente ubriaco; le visioni oniriche e deliranti copliscono per la messa in scena fastosa, barocca e genuinamente ammaliante: il delirio di Dammit diviene, nelle mani dell'autore, un girone infernale popolato da freaks unti, attrici formose e volgari, festival in pozze di fango e telecamere-fucili; la discesa agli inferi del protagonista è segnata fin dal titolo, quel Dammit che sembra stare per "damn it", dannato appunto, e viene costruita non come una narrazione lineare, ma episodica (quella propria di tutto il cinema di Fellini), per dare risalto allo straniamento del personaggio; in neanche un'ora di film, il grande regista crea alcune delle visioni più significative del suo cinema e tre icone: il protagonista, poi prototipo per tutti i divi strafatti apparsi sul grande schermo come stereotipo della decadenza moderna, la figura salvifica della donna ingioiellata, felice ribaltamento della modestia della salvazione, e sopratutto la bambina bionda vestita di bianco, incarnazione del diavolo e della dannazione, ripresa infinite volte da decine di altri film horror e citata persino da Tim Burton in "Frankeweenie"; da antologia anche il finale, dove con uno splendido anticlimax Fellini riesce davvero ad inquietare.
"Tre Passi nel Delirio" è quindi una pellicola non del tutto riuscita, ma affascinante, che, come detto, fa da perfetto esempio di un modo di fare cinema che, purtroppo, oggi è perssocchè scomparso.
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