mercoledì 20 marzo 2013

Flash Gordon

di Mike Hodges

con: Sam Jones, Max Von Sydow, Topol, Melody Anderson, Ornella Muti, Timothy Dalton, Brian Blessed, Mariangela Melato.

Fantastico/Avventura

Usa, Inghilterra (1980)















Prima ancora di essere una colonna portante nell'ambito del fumetto occidentale, "Flash Gordon" è un vero e proprio mito moderno, il cui successo, inaspettato e globale, finì per ridefinire forme e contenuti dell'intrattenimento fantastico. Ma non si può comprendere davvero la portata della sua importanza senza accennare al contesto storico in cui le prime tavole di Alex Raymond videro la luce.
Prima tappa storica coincide, inaspettatamente, con l'ingresso degli Stati Uniti nella Prima Guerra Mondiale, esperienza che segnerà un'intera generazione di giovani americani in più di un modo; al di là dell'orrore viscerale di cui fu testimone, l'esperienza bellica forzò un popolo storicamente restio al viaggio ad abbandonare le sonnolente cittadine di residenza per girare il mondo, scoprendo meraviglie architettoniche e naturalistiche che la fotografia e la cinematografia dell'epoca non riusciva a restituire con giustizia. Quella generazione fu così segnata da una fascinazione inedita per la scoperta, per l'inusuale ed il bizzarro.




Anni dopo, con la crisi economica post '29 imperante, quella stessa generazione si vede costretta a cercare mezzi di evasione da una realtà magra, che anche nelle grandi città della Costa Est forza intere masse alla nullafacenza. La letteratura pop, con i primi fumetti di Yellow Kid e Tarzan ed i romanzi pulp, diviene vero e proprio genere di consumo di prima necessità: le vendite dei fumetti salgono vertiginosamente e la King Features Syndacate, una delle tre grandi case editrici dell'epoca, smania per avere un prodotto vendibile, qualcosa da far competere contro il "Dick Tracy" di Chester Gould ed il neonato "Buck Rogers" di Nowlan. E' a questo punto che Raymond propone la sua idea: un personaggio simile a Rogers, ma modellato, per storia e carattere, non tanto sugli eroi a fumetti dell'epoca, quanto su quelli letterari, che trova le sue radici in particolare nella serie di romanzi di "John Carter" di Edgar Rice Burroghs, vero e proprio "ciclo fondativo" dell'avventura moderna intrisa da forti venature fantastiche e fantascientifiche, genere, quest'ultimo, all'epoca neonato. Nel Gennaio del 1934 viene così pubblicata la prima strip di "Flash Gordon" ed i lettori si trovarono davanti a qualcosa di inedito (per quanto saldamente ancorato a modelli classici) eppure incredibilmente avvincente.




La struttura di base dei brevi episodi ricalca in tutto e per tutto quella dei serial cinematografici: ogni settimana, Flash e compagni si ritrovano ad attraversare pericoli e sfide e la loro sorte è sempre lasciata in sospeso nei famosi "cliffhanger", utili per far proseguire la lettura agli acquirenti. Il dipanarsi degli eventi segue i cliché del genere, con tutte le ingenuità possibili; ma la scrittura riserva, ancora oggi, delle novità interessanti e per l'epoca dirompenti. La caratterizzazione di molti dei personaggi è quella classica dei romanzi d'avventura: Flash è un aitante giocatore di polo (sport molto diffuso all'epoca), Ming il Crudele un dispotico imperatore della tecnocrazia di Mongo, dove la scienza impazzita ha eradicato l'umanità delle persone e sottomesso tutti i popoli, in un'anticipazione di quello che diverrà un topos centrale in molta letteratura di fantascienza. sia pop che hard sci-fi, della seconda metà del Novecento; la sua pelle gialla è una chiara metafora del "pericolo giallo", la Cina comunista che turbava i sonni di molti occidentali del periodo. Ma la vera novità sta nel modo in cui sono tratteggiate le figure femminili: la principessa Aura, figlia di Ming innamoratasi di Flash, e la bella Dale Harden, sua fidanzata, non assumono quasi mai il ruolo della bella in pericolo, rivestendo sempre un ruolo attivo nelle storie, spesso per aiutare o addirittura salvare l'eroe.
Ciò che invece era assolutamente incredibile all'epoca (e lo è tutt'oggi) è la cura che Raymond riservava per i disegni delle tavole, nonché lo stile visionario. I modelli dei personaggi presentano forme anatomiche idealizzate, eppure perfette nelle proporzioni, spesso immobilizzati in pose dalla dinamicità sorprendente. Il numero di dettagli dei fondali e degli "oggetti di scena" è incredibile; più che al disegno classico dei fumetti, Raymond si rifaceva alle illustrazioni delle riviste e dei romanzi, creando una forma di realismo fantastico irresistibile.
Il suo mondo, poi, era vivo e ameno: alle visioni fantastiche di una tecnologia futura si affiancavano quelle dell'avventura classica: a città favolose venivano giustapposte foreste incantate, giungle amazzoniche o scenografie influenzate dall'era romana e medioevale. Il pianeta Mongo è un calderone postmoderno di visioni fantastiche ed avventurose, che rivisto oggi diviene la culla di tutte quelle incarnazioni che si sarebbero avute nel futuro. Come conseguenza dovuta, la scelta di alternare combattimenti moderni, con razzi e pistole, a duelli all'arma bianca, spesso risolutivi sul piano narrativo: spade e pugnali divengono le armi principali in un mondo fantastico, per creare una delle prime forme di post-modernismo fantastico che si siano mai viste.




Ancora più essenziale fu il serial tratto dalla strip. Distribuito a partire dal 1936 con l'episodio "The Planet of Peril", "Flash Gordon" riprendeva in modo alquanto fedele le storie di Raymond, adattandole per questioni di budget, riuscendo a tradurne in modo efficace il senso di meraviglia ed avventura. Nei panni di Flash troviamo Buster Crabbe, che poi avrebbe interpretato anche quel Buck Rogers a cui la creatura di Raymond si ispirò.




Ma l'importanza del serial risiede anche in altro: fu la fonte di ispirazione principale per Lucas per creare il suo "Guerre Stellari" (1977). Di fatto, il mondo della "Galassia Lontana Lontana" altro non è se non una rielaborazione delle intuizioni principali di Raymond: un eroe senza macchia e senza paura lotta contro un crudele tiranno in un contesto fantascientifico, dove però si combatte usando armi bianche. Processo di rielaborazione (quasi plagio) che trova subito la sua giustificazione: prima di cominciare a stendere la prima versione dello script, Lucas tentò invano di portare sullo schermo proprio Flash Gordon, fallendo, però, nel negoziare i diritti con la King Features.
Il che è puramente paradossale se si tiene conto del fatto che la più celebre incarnazione dell'opera di Raymond nacque proprio sulla scia del successo di "Guerre Stellari".




Il successo immediato e mondiale della creatura di Lucas e di "Superman- Il Film" cambiarono radicalmente il modo di concepire il cinema fantastico: l'uso di un registro ironico (a fronte di una fantascienza che in quel decennio era stata foriera di visioni cupe e disperate) e la ripresa di modelli popolari, quali i fumetti, garantiva un forte riscontro economico; occasione ghiotta per un produttore ambizioso come Dino De Laurentiis, che decide di inserirsi nel solco già tracciato e di misurarsi con una trasposizione da fumetto su grande schermo in grado di rivaleggiare con i due kolossal; la scelta è cruciale: anzicchè orientarsi su produzioni contemporanee, De Laurentiis decide di tornare alle origini del fumetto d'avventura e fantastico e al prototipo primigeneo dell'eroe moderno, riprendendo proprio il Flash Gordon di Raymond.




Il progetto originario di adattamento era ancora più ambizioso di quello effettivamente arrivato su schermo; alla regia, De Laurentiis voleva niente meno che Federico Fellini, scelta che non deve neanche stupire; la traduzione italiana della prima edizione di "Flash Gordon" fu curata proprio da un giovanissimo Fellini e la visone di quelle tavole dai colori sgargianti, popolate da creature fantastiche e donne bellissime in abiti succinti ne segnò indelebilmente la fantasia, finendo da base per quel suo immaginario fantasmagorico.
Purtroppo il grande artista abbandonò subito il progetto e la sua versione, che si dice fosse ben più ambiziosa, non verrà mai ad esistere. Come rimpiazzo, De Laurentiis chiama Mike Hodges, questa si, una scelta fuori da ogni logica; regista di incredibili hard-boiled di culto, su tutti il magnifico "Carter" (1971), Hodges non sembra avere le capacità visionarie necessarie per dar vita al mondo di Flash (si dice che abbia ottenuto il ruolo perché al buon Dino piacesse la sua faccia!). Eppure, per quanto stramba, la scelta si rivela tutto sommato vincente: la sua è una regia di puro servizio, ma che riesce ad imprimere al film un ritmo indiavolato, che di concerto con uno humor sempre presente rende questo adattamento, per paradosso puro, estremamente moderno: rivisto oggi, più che un kolossal nato sulla scia di "Guerre Stellari" sembra quasi un film della Marvel Studios.






Il risultato finale è però strambo e altalenante; le scenografie kitsch ed oniriche di Danilo Donati (scelta obbligata, visto il suo curriculum) e le musiche pop dei Queen (alcune delle quali davvero irresistibili) riescono a creare un'ottima confezione per il perfetto film d'avventura; ma i personaggi sono tutto sommato piatti e privi di vero interesse.
Flash è l'eroe per caso, catapultato su Mongo senza un perché (in una ripresa letterale dell'incipit del fumetto, che non piaceva neanche al suo autore) ma che non prende mai coscienza del suo ruolo di liberatore. E', in sostanza, un semplice uomo d'azione dalla battuta pronta, che immerge ogni sua azione nel sarcasmo, divenendo più simile all'Uomo Ragno che ad un Achille delle stelle ed anticipando, di fatto, quello che sarà il prototipo dell'eroe del cinema d'azione degli anni '80; i risvolti ironici vengono enfatizzati, forse per evitare che la sospensione dell'incredulità cada di fronte alle situazioni mostrate; dulcis in fundo: il duello finale tra l'eroe e il villain viene risolto in modo del tutto anticliamatico, togliendo definitivamente ogni possibile risvolto epico alla vicenda.
Alle mancanze della scrittura, per fortuna, sopperisce un cast in parte ed all-star: Sam Jones, pur privo di solide doti recitative, ha il fisico perfetto per il ruolo ed una buona capacità auto-ironica. Ornella Muti è un Aura talmente sexy da lasciare allibiti. Timothy Dalton e Brian Blessed si divertono un mondo nei panni dei principi guerrafondai; ma a rubare la scena a tutti è Max Von Sydow, che per la prima volta impegnato in una pellicola di puro intrattenimento, dà vita ad un Ming minaccioso e cupo, prova di come i grandi attori eccellano in ogni contesto.





"Flash Gordon" finisce così per rappresentare il perfetto esempio di cinema pop e cinecomic dell'epoca: grande e costoso, è un giocattolo di puro intrattenimento, che stupisce per la messa in scena, ma purtroppo non riesce a convincere del tutto. Riprende tutto sommato bene alcuni topoi della matrice, ma senza eccellere in nulla; il che è un vero peccato.

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