di Tim Burton
con: Michael Keaton, Geena Davis, Alec Baldwin, Winona Ryder, Catherine O'Hara, Jeffery Jones, Glenn Shadix, Sylvia Sydney, Dick Cavett, Annie McEnroe, Robert Goulet.
Fantastico/Commedia
Usa (1988)
Pur avendo perso da tempo il suo smalto e forse la vera ispirazione, non va dimenticato il fatto che per lungo tempo Tim Burton è stato un autore il cui talento ha trasceso la sola dimensione filmica per venire apprezzato come artista a tutto tondo. Merito non solo della sua poliedricità, ma anche di quella sua poetica, rielaborazione personalissima del gotico classico, che si è imposta sin da subito nell'immaginario collettivo grazie ad un pugno di pellicole di ottimo successo.
Non ci si deve stupire però di come anche lui abbia fatto una gavetta non indifferente che lo ha portato a cambiare più volte veste prima di trovare quella di regista vero e proprio. Burton nasce infatti come assistente animatore presso quella Walt Disney Company che nella prima metà degli anni '80 viveva per la prima volta un periodo di forte crisi: i film animati non riscuotevano più il successo di un tempo e le uniche produzioni che trovavano vero riscontro erano quelle in live-action. Burton si trova così a lavorare al pur bello "Red & Toby nemiciamici", dove però la sua creatività è fortemente limitata; limite che diventa rifiuto quando i suoi concept art per "Taron e la pentola magica" vengono rigettati perché ritenuti fin troppo anticonvenzionali.
Sembra che la carriera presso la Casa del Topo sia ad un punto morto, finché la dirigenza non gli permette finalmente di creare qualcosa di personale: è grazie ai capitali della Disney infatti che il buon Tim riesce a creare i primi e già memorabili corti, come "Vincent" e "Frankenweenie", oltre che a dirigere quel bizzarro adattamento televisivo della fiaba di Hansel & Gretel che impone il suo stile al pubblico generalista.
E' con un curriculum del genere che riesce ad emanciparsi dalla major, anche a causa delle incompresioni dovute proprio alla produzione di "Frankenweenie"; Burton viene così ingaggiato da Paul Rubens per dar vita a "Pee-Wee's big adventure", suo effettivo esordio nel lungometraggio, adattamento animato del celebre personaggio televisivo che Burton dirige con piglio visionario, trovando anche la collaborazione di Danny Elfman, che in quegli anni dismetteva la veste di frontman degli Oingo Boingo per cercare di avviare la sua carriera da compositore per il cinema.
Esordio che riscuote un buon successo, ma nel quale la vena creativa dell'autore risulta per forza di cose ridimensionata. L'opportunità per darle libero sfogo, cosa paradossale a ben pensarci, gli verrà concessa grazie ad un altro progetto affidatogli da uno studio, ossia "Beetlejuice".
Progetto che nasce dalla penna dello sceneggiatore Michael McDowell in uno script poi affidato alla Geffen Company; un'idea, la sua, che inizialmente diverge totalmente dal film che uscirà in sala solo pochi anni dopo: in questa sua prima incarnazione, il personaggio di Betelgeuse è uno spirito maligno vero e proprio, un'entità demonica che si diverte a perseguitare i vivi per carpirne le anime, non di certo quel bontempone che, pur malizioso e a suo modo violento, di certo non può essere definito come totalmente malvagio a cui Michael Keaton darà vita.
Il cambio di rotta nella storia arriva grazie alle revisioni apportate da Warren Skaaren, sceneggiatore che poi si ritroverà a lavorare proprio con Burton qualche anno dopo per il suo "Batman"; Skaaren, anche incoraggiato dai produttori, infligge una sferzata umoristica a trama e personaggi, alleggerendo il tono generale.
Nonostante questo, non è di certo Burton la prima scelta per dirigere il film, pur essendo divenuto già celebre per le sue produzioni Disney; la prima scelta cade di fatti niente meno che su Wes Craven, all'epoca appena reduce dal successo di "A Nightmare on Elm Street", il quale, salito a bordo, ordina una riscrittura del copione che lo riporti all'impostazione più seria di McDowell; operazione che non non piace alla Geffen, la quale decide di termine la collaborazione; leggenda vuole, però, che siano state sue le idee di far prendere a Betelgeuse la forma di serpente e di vestirlo con un abito a righe.
Giunto a bordo, Burton fa suo lo script revisionato da Skaaren e ingaggia Michael Keaton per il ruolo dello sboccato bio-esorcista, scelta in realtà anche azzardata: Keaton all'epoca era famoso più che altro per la commedia "Mr. Mom" e altre commedie decisamente leggere; ma Burton ci aveva visto giusto, scorgendone l'estrema versatilità.
Uscito nelle sale americane nel marzo 1988, "Beetlejuice" incassa oltre 70 milioni di dollari in tutto il mondo a fronte di un budget di circa 15, configurandosi come il primo vero successo di Burton e soci. Oltre che il suo primo film davvero personale.
Merito della riuscita è la vera e propria affinità elettiva tra la sceneggiatura e l'indole sensibile e visionaria di Burton, il quale riesce a fare suoi tutti gli spunti dello script e a dar loro una perfetta forma filmica.
La sua vena visionaria qui può trovare terreno fertile per sbocciare senza le pastoie normalizzatrici che solitamente le vengono imposte e la fantasmagoria di luci e forme diventa una sarabanda visionaria e tetra. Il gotico burtoniano è reminiscente tanto del cinema espressionista quanto dell'arte visionaria di Bosch, ai quali viene aggiunto il gusto per l'animazione in stop-motion di Jan Švankmajer. Tutte influenze che vengono filtrate e rielaborate, riplasmate in una forma nuova e originale; non per niente, tutte le visioni che appaiono su pellicola sono nate dai bozzetti e dagli sketch disegnati da Burton in persona, che ha dato il proprio imprint a tutto il look del film in maniera diretta.
Il suo stile di messa in scena è invece essenziale, basato principalmente su camera fissa per ottenere inquadrature plastiche, influenzate dai decenni del cinema horror americano classico e di quello espressionista; le immagini divengono così dei piccoli quadri con soggetti in movimento nei quali Burton dipinge un ritratto grottesco e satirico di un vero e proprio scontro tra vivi e morti.
L'artista comincia qui il suo discorso sulla filosofia del diverso: il "freak", qui rappresentato dai due spettri protagonisti, i coniugi Maitland e dal personaggio di Lydia, interpretato da una giovanissima Winona Ryder, è protagonista assoluto ed il solo foriero di vera dignità; la diversità, intesa come non-omologazione ai valori estetici e sociali, per Burton è l'effettiva normalità: ad essere mostruosi non sono i fantasmi o le creature oltremondane, ma i normalissimi vivi che invadono la privacy dei Maitland.
I Deetz sono il perfetto opposto dei Maitland: laddove questi ultimi sono umili e tranquilli, perfetto esempio della famiglia piccolo-borghese americana, i primi sono snob e superbi, rappresentazione della moderna borghesia pseudo-intellettuale, foriera solo del vuoto della mente; di fatto, i Maitland hanno i volti e i corpi dei bellissimi Geena Davis e Alec Baldwin, la cui avvenenza viene ridimensionata in costumi da provincialotti che li rendono tuttavia ancora più simpatici, mentre i Deetz e i loro amici sono portati in scena da un pugno di (ottimi) caratteristi (Jeffrey Jones e il suo volto sottilmente sinistro, Catherine O'Hara qui in veste di volitiva artistoide) i cui volti sgraziati ne sottolineano l'indole negativa; la loro "normalità" cela una serie di vizi e stupidità che Burton svela con complicità, ma senza autocompiacimento: la sua è un'analisi acuta e divertita, mai davvero polemica. Il buon padre di famiglia Charles ad esempio, che pur apprezza la tranquillità della piccolissima provincia americana, alla fine rivela la sua natura di speculatore edilizio pronto a fagocitare tutto pur di trarne profitto, mentre la matrigna Delia è una scultrice persa in un'ossessione edonista che glorifica attraverso l'amore per l'arte. In mezzo a loro, lo yuppie Otto, finto intellettuale la cui hubris porterà ad un finale ai limiti del catastrofico.
Laddove il mondo dei vivi è idealmente scisso tra una provincia fuori dal tempo e una città infestata da arrivisti cialtroni, il mondo dei morti è questa sorta di incubo kafkiano trascendentale, una gigantesca sala d'aspetto gestita da un'imperscrutabile burocrazia che si pone a metà strada tra Paradiso e Inferno, un "mondo fuori dai mondi" dove gli spettri devono restare se morti in condizioni improvvise; un non-luogo immerso il colori sgargianti e impossibili, con giustapposizioni da gotico a là Mario Bava dove i trapassati si muovono come figure grottesche eppure simpatiche, dove la morte violenta subisce una normalizzazione sinonimo dell'accettazione di una fine che non deve per forza rappresentare un incubo; l'incubo, semmai, consiste nell'essere costretti a vivere a stretto contatto con persone intolleranti e volitive, soggetti il cui carattere strabordante toglie ogni forma di quiete a chi non condivide i loro valori (o presunti tali). E Burton, stranamente, nel finale non opta per una distruzione punk di quella falsa normalità, quanto per un compromesso, per una comprensione che porta i due gruppi di diversi a convivere in armonia.
Perfetto controaltare al ruolo benigno dei freak protagonisti è quello che, invece, l'autore riserva per Betelegeuse, il Beetlejuice (letteralmente "spremuta di scarafaggi") del titolo: introdotto come elemento iconoclastico, lo "spiritello porcello" svela quasi subito la sua natura arraffona ed individualista; Betelgeuse altro non è che l'incarnazione del lato peggiore dell'attitudine imprenditoriale americana: iniziato a svolgere il suo lavoro di "esorcista dei vivi", si intromette poco alla volta nell'esistenza dei Maitland per ottenere sempre di più: più spazio (infesta il plastico di Adam), più lavoro (cerca in tutti i modi di convincere i coniugi a farlo proseguire con le burle),fino a reclamare la mano della ragazzina Lydia, climax definitivo che simboleggia l'edonismo individualista insito nel personaggio. Michael Keaton si dimostra semplicemente perfetto per il ruolo: divertente e divertito, è un ciarlatano non morto dalla lingua forcuta e dai modi rozzi ed istrionici, le cui battute e la cui mimica sfondano lo schermo e si imprimono definitivamente nell'immaginario collettivo.
Betelgeuse è un personaggio strambo, metà clown e metà demone, simile al Freddy Krueger dei sequel e a quella che sarà la maschera di "The Mask", è un folletto pazzo simpatico e pericoloso la cui aura sinistra è genialmente sottolineata tramite la sottrazione: nulla si sa davvero su di lui e sui suoi poteri, sul perché necessita di essere evocato e sul perché abbia subito delle restrizioni da parte del suo ex superiore; da cui l'impossibilità di prevederne le mosse che lo rende una specie di jolly feroce, le cui marachelle vengono portate in scena da Burton come un sinistro luna park degli orrori.
In 93 minuti, Burton fonde alla perfezione la commedia satirica con quella fantastica creando un rutilante mondo "altro", un viaggio spericolato tra i mondi dove, tra una risata e uno spavento, vige sempre un'aura sinistra, una sottile derivazione orrorifica che dona a "Beetlejuice" una personalità singolare e prorompente e che lo rende memorabile prima ancora che estremamente divertente.
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